Pensieri e comportamenti incontrollabili: il Disturbo Ossessivo Compulsivo

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) si caratterizza per la presenza cronica e diffusa di ossessioni e compulsioni che interferiscono significativamente con il funzionamento psicosociale della persona affetta. Le ossessioni sono definite dal DSM-5 “idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti che vengono esperiti, almeno inizialmente, come intrusivi e inappropriati e causano ansia o disagio marcati” (avrò chiuso il gas?; avrò ucciso qualcuno in macchina?; sarò stato contagiato dai batteri altrui?). La persona cerca di ignorare, sopprimere o neutralizzare tali pensieri con altri pensieri o azioni che lo stesso manuale diagnostico definisce compulsioni: “comportamenti finalizzati e intenzionali eseguiti in risposta ad un’ossessione, secondo certe regole e in modo stereotipato” (lavarsi le mani, controllare, riordinare, pregare, contare…). Proprio per tali caratteristiche le compulsioni sono spesso chiamate “rituali” e non sono connesse in modo realistico con attività che potrebbero prevenire o neutralizzare il pensiero ossessivo. Mettere in atto i rituali risulta spesso faticoso e occupa molto tempo, ma al tempo stesso la persona non riesce a sottrarsi a questo meccanismo con l’idea che “se non metto in atto il rituale allora il pensiero o l’immagine ossessiva si realizzeranno”.

Alcuni studi dimostrano una maggior prevalenza del disturbo nel sesso maschile, con insorgenza in età puberale o comunque entro i 30 anni.

Spesso risulta difficile  risalire ad una causa scatenante il disturbo, più di frequente si rintracciano nella storia della persona eventi traumatici, familiarità per DOC, ansia o depressione.

 

TIPOLOGIE

Il disturbo ossessivo compulsivo assume diverse forme in base alla tipologia di ossessione-rituale:

  1. Disturbo ossessivo compulsivo da contaminazione o lavaggio

Le ossessioni di contaminazione sono associate a rituali di pulizia e di evitamento che neutralizzano la paura di un contagio con germi portatori di malattie, la contaminazione con escrementi umani o sostanze dannose.

  1. Disturbo ossessivo compulsivo da ipercontrollo

Le ossessioni riguardano il dubbio di aver fatto o non fatto qualcosa che causi un grave danno alla propria reputazione. I rituali connessi si concretizzano attraverso il controllo di tutto ciò che si pensa potrebbe arrecare problemi a sé o agli altri (controllo del gas, del ferro da stiro, di non aver investito qualcuno in auto..).

  1. Disturbo ossessivo compulsivo da conteggio e ripetizione

La persona si sente costretta a ripetere delle azioni precise, allo scopo di evitare che un pensiero ossessivo spaventevole, detto “ pensiero magico”, si avveri. Può per esempio innescarsi il pensiero magico per cui se non si toccano tutte le mattonelle o non si contano tutti i semafori, una persona cara può andare incontro ad una disgrazia.

  1. Disturbo ossessivo compulsivo da ordine e simmetria

Le ossessioni sono associate al timore che se ogni oggetto non è perfettamente ordinato e simmetrico potrebbe accadere qualcosa di grave a sé e agli altri. Questa credenza procura una sgradevole sensazione di mancanza di armonia e di logicità e l’irrefrenabile impulso a organizzare oggetti, arredamento, vestiti secondo rigidi criteri.

 

DIAGNOSI

Spesso è proprio la persona che esperisce ossessioni e compulsioni a rivolgersi ad un professionista. Le ossessioni causano notevole sofferenza e l’attuazione inevitabile dei rituali provoca un’enorme perdita di tempo interferendo spesso con la vita sociale e lavorativa.

La diagnosi viene eseguita escludendo la presenza di altri disturbi quali schizofrenia, depressione, ipocondria o fobie. Sebbene la presentazione clinica offerta dalla persona sia spesso chiara per una formulazione della diagnosi, non è semplice per il paziente raccontare  al terapeuta alcuni aspetti personali rilevanti del disturbo poiché la stranezza delle ossessioni e dei rituali l’ha spesso portata a sentirsi vittima di incomprensione o di ridicolo. Fondamentale diventa perciò l’atteggiamento comprensivo e non giudicante del terapeuta che indagherà pensieri, immagini, impulsi, comportamenti compulsivi con relativa frequenza, durata, resistenza e tentativi di neutralizzazione, problemi sociali, lavorativi e familiari collegati al disturbo. Raggiunta una diagnosi generale è importante acquisire informazioni su ogni specifico aspetto del disturbo chiedendo alla persona una minuziosa descrizione delle situazioni che possono innescare il meccanismo ossessione-rituale.

 

TRATTAMENTO

Il trattamento d’elezione del DOC è ormai notoriamente la terapia cognitivo-comportamentale associata o meno, a seconda della pervasività del disturbo, ad un intervento farmacologico.

La terapia mira ad insegnare ai pazienti a modificare i propri pensieri e sentimenti a partire dal cambiamento dei propri comportamenti. In particolare, lavora sul disturbo attraverso un meccanismo di esposizione e prevenzione della risposta. Al paziente viene cioè chiesto di esporsi ripetutamente alla fonte dell’ossessione (per esempio gli viene chiesto di frequentare luoghi pubblici che scatenano l’ossessione da contaminazione) e di resistere all’attuazione del comportamento compulsivo che è solito emettere per abbassare l’ansia e neutralizzare la potenza dell’ossessione (per esempio lavarsi le mani immediatamente dopo il contatto con una possibile fonte di contagio). La costanza dell’intervento, insieme ad un efficace automonitoraggio dei sintomi/comportamenti del paziente e all’attuazione di efficaci tecniche di gestione dell’ansia si dimostrano in grado di modificare alcuni meccanismi cerebrali riducendo a lungo termine la comparsa dei sintomi ossessivo compulsivi. Nel processo di graduale remissione dei sintomi terapeuta e paziente giocano un ruolo attivo. Il terapeuta cerca di guidare il paziente alla ricerca della strategia migliore da attuare, il paziente, invece, lavora al di fuori della seduta terapeutica per mettere in pratica quanto appreso e riportare al terapeuta i vissuti emotivi esperiti in fase di sperimentazione.

 

BIBLIOGRAFIA

 

  • American Psychiatric Association (APA) (2013), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014.
  • Dettore D., (2003), Il Disturbo ossessivo-compulsivo. Caratteristiche cliniche e tecniche di intervento. Seconda ed. McGraw-Hill Editore.
  • Mancini F., (2016), La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo. Raffaello Cortina Editore.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Le emozioni delle neomamme

Nei giorni e nei mesi successivi alla nascita di un bambino, l’attenzione di tutto il nucleo famigliare è concentrata sul nuovo arrivato. Come si sente? Ha mangiato abbastanza? Riesce a dormire un numero adeguato di ore?

E la mamma? Cosa prova? Ciò che spesso accade è la percezione di una differenza tra ciò che durante la gravidanza si è sentita dire o si è immaginata e ciò che si trova a provare dal momento che ha il suo piccolo tra le braccia.

Mentre tutta la famiglia è impegnata a manifestare la propria gioia e un certo senso di gratitudine, la mamma potrebbe trovarsi intrappolata in un sentimento di esclusione e di scarsa vicinanza affettiva in quanto impegnata ad affrontare non solo le gioie ma anche le fatiche che la nascita del bambino porta con sé.

Spesso non è facile condividere con il resto della famiglia i dubbi, le difficoltà e la stanchezza che si stanno provando, per timore che tali sentimenti non siano compresi poiché “non c’è niente di più bello del diventare mamma!”.

A ciò si potrebbe anche aggiungere la discrepanza tra la visione idealizzata della maternità e del post parto e ciò che invece poi ci si trova ad affrontare e a provare sulla propria pelle. Questo è un sentimento che accomuna la maggior parte delle donne.

 

Quali rimedi?

Il primo passo per non farsi travolgere da tutto ciò è prendere consapevolezza proprio di questi sentimenti negativi, che sono fisiologici.

Le ricerche ci dicono infatti che questa fase, caratterizzata da stanchezza, irritabilità, umore altalenante e sentimenti di ambivalenza nei confronti del bambino, accomuna l’80% delle neomamme (baby blues).

È una fase transitoria che, però, è opportuno non negare. Anzi, riconoscere l’esistenza di tali sentimenti e sensazioni è fondamentale per riuscire a elaborarli e, di conseguenza, superarli.

In seconda battuta risulta fondamentale non sminuire le sensazioni positive che la gravidanza e l’essere mamma portano con sé. È importante soffermarsi su quelle che possono essere delle piccole gioie, come sentire il bambino che si muove mentre si è in gravidanza o vederlo dormire tranquillo.

Non negare le sensazioni negative e imparare a riconoscere anche gli aspetti che ci gratificano e che ci permettono di alleggerire quanto stiamo vivendo, è un ottimo modo per colmare l’ambivalenza tipica di questo periodo che è il più denso di emozioni altalenanti che una donna si trova a vivere.

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Vivere il presente per combattere l’ansia

L’ansia è un’emozione universale indispensabile all’essere umano. Ha una funzione importantissima: ridurre le situazioni di pericolo. Come funziona il meccanismo?

In ciascuno di noi l’ansia agisce sul nostro organismo a  livello subcosciente allo scopo di tenerci alla larga da una situazione che appare pericolosa per noi stessi e per gli altri. Come lo fa?  Generando in noi una sensazione di forte disagio che ha come fine ultimo il farci desistere dall’intraprendere quell’azione.

A dirla così sembra quindi che l’ansia cerchi in qualche modo di proteggerci.

Come mai allora per molte persone l’ansia è fonte di sofferenza e disagio a volte così forti da compromettere un sano funzionamento in alcuni ambiti della vita?

L’ansia diventa un ostacolo, anziché un aiuto, quando non anticipa più solo i pericoli reali, ma anche quelli percepiti, cioè quelli che immaginiamo possano accadere: spesso ci preoccupiamo che le cose possano andare male, anche senza alcun reale motivo.
L’ansia si trasforma così da aiuto inconsapevole e adattivo (evitare pericoli reali), in un intralcio fastidioso, prolungato e.. CONSAPEVOLE! Perché ad alimentare l’ansia per situazioni ipotetiche e immaginate sono I NOSTRI PENSIERI!  I pensieri non sono noi. Non sono reali, sono pensieri, sono solo delle possibilità. Se coltiviamo i pensieri ci creiamo delle trappole, è meglio guardali sempre con distacco.

“I pensieri che attraversano la nostra mente sono solo nuvole che ci attraversano, alcune rosa, altre nere, vanno e vengono, si spostano, spariscono, cambiano forma, dimensioni, colori.”

I pensieri ci fanno entrare in un vortice di supposizioni, paure, presunzioni…da cui è difficile uscire per tornare alla realtà delle cose. Provate a riflettere: spesso i pensieri che generano ansia sono legati ad aspetti della vita, di noi o degli altri che per un motivo o per l’altro potrebbero andare male.

Questo accade sostanzialmente per due motivi:

1.IL POTERE DELLE ASPETTATIVE.

Le aspettative giocano un ruolo fondamentale nello scatenare i sintomi tipici dell’ansia. Ci aspettiamo sempre qualcosa da noi stessi e dagli altri e ci giudichiamo se non raggiungiamo i risultati sperati. È una condizione molto comune… a chi non è capitato di stare in ufficio ben oltre l’orario solo per il timore di non essere all’altezza e quindi di non ricevere quella promozione o di essere giudicato negativamente?

 

Come fare per non essere tormentati da pensieri di questo tipo?

Sicuramente dobbiamo partire dall’imparare a non pretendere troppo da noi stessi, a fare le cose per come le sappiamo fare, a non giudicarci e dirci sempre “sei andato bene” o “sei andato male”. E’ essenziale volerci bene, accogliendoci senza infierire. La severità ci insabbia, è difficile che ci faccia migliorare. Spesso nella vita di tutti i giorni ci sforziamo di voler essere agli occhi degli altri un modello, un punto di riferimento, una persona sulla quale poter contare. Cerchiamo sempre di fare la cosa giusta nel momento giusto, di accontentare tutte le richieste che ci vengono fatte. Ma quando tutto questo ci allontana dai nostri veri desideri e ci imponiamo di essere quel modello a tutti i costi, ci scontriamo con l’impossibilità di riuscirci e, oltre all’ansia già sperimentata, si aggiunge il senso di fallimento. E’ importante per questo riconoscere e ascoltare i primi segnali della nostra ansia: che cosa ci sta dicendo? Spesso, prima di tutto, è il corpo che ci parla: lo stomaco chiuso, il mal di testa, quella cervicale contro cui combattiamo ogni giorno, il fiato corto, la stanchezza inspiegata.. il corpo ci dice che non vuole più sottostare a quella figura di perfezione a cui ogni giorno cerchiamo di aderire.

Andiamo bene così come siamo, con i nostri limiti e le nostre imperfezioni. Questo ci darà quel senso di realtà e di pace interiore che ci permetteranno di essere semplicemente presenti ad ogni azione che facciamo.

 

2.IL PASSATO E IL FUTURO

Siamo sempre proiettati verso il futuro oppure rimuginiamo sul passato, ignorando ciò che stiamo vivendo in questo momento. Quando ci si preoccupa si perde il contatto con ciò che stiamo vivendo adesso perché si concentra l’attenzione su un futuro immaginato. Quando si rimugina è più o meno la stessa cosa, tranne che ci si sta concentrando su una realtà ormai chiara, definita e cristallizzata.

Dunque siamo costantemente orientati a gestire pensieri su un passato non più modificabile e un futuro che potrebbe prendere qualsiasi direzione. Sì.. sono sempre i pensieri..

I pensieri ci portano sempre altrove…verso dei ricordi, verso delle fantasticherie, delle cose da fare…e quando proviamo a scacciarli lo fanno ancora di più.

 

Come fare a restare sul presente?

Per governare l’ansia occorre rimanere saldamente ancorati al presente assaporando il più possibile ogni emozione di ogni istante per come si presenta. Facile a dirsi. E’ vero, non è assolutamente semplice da mettere in pratica, ma dipende proprio da noi.

Avete mai pensato a quanti gesti, azioni, esperienze viviamo senza neanche accorgercene?

La ricerca oggi ci dice che la vera sfida per combattere l’ansia è vivere il presente nella piena consapevolezza. Ma cosa vuol dire essere pienamente consapevoli? Quando parliamo di piena consapevolezza ci riferiamo ad uno stato di consapevolezza che si ottiene concentrando la propria attenzione nel momento presente. E’ un modo di essere aperti alla nostra esperienza per come ci si presenta, attimo dopo attimo senza doverla necessariamente classificare in buona e cattiva. Vivere in piena consapevolezza significa abbracciare la propria vita in tutta la sua ricchezza trovando uno spazio per crescere. La nostra educazione, le nostre abitudini e certi automatismi ci spingono ad angosciarci quando la vita è difficile, e a non assaporarla quando invece è piacevole.

Sono sempre i nostri pensieri che ci portano altrove rispetto a dove siamo, con il risultato che molte volte siamo estranei alla nostra vita. La piena consapevolezza ci propone, tappa dopo tappa, di governare la nostra capacità di attenzione e di ricollegarci a tutti i nostri sensi. Il corpo gioca un ruolo fondamentale nell’essere consapevoli, un corpo che troppo spesso sentiamo solo quando grida dolore. Il primo passo per essere consapevoli consiste nell’imparare a fermarsi. Ci siamo effettivamente poco abituati, essendo sempre presi da qualche attività e sopraffatti da pensieri automatici.

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