I bambini e il Covid-19: linee guida per i genitori

Il 23 febbraio 2020 a Milano e in altre città il tempo si è fermato. Ci hanno chiesto, con provvedimenti via via più restrittivi, di rinunciare alle libertà di cui avevamo goduto dalla nascita e che avevamo sempre dato per scontate. Ad inizio marzo le limitazioni sono state estese a tutta Italia e abbiamo iniziato ad interrogarci sulla tenuta economica, sui risvolti sociali e psicologici, abbiamo cominciato ad indossare mascherine e guanti, a fare la fila per entrare in un supermercato e a chiederci quando e se riavremmo avuto indietro la nostra vita.

Con il passare dei giorni chi è anche genitore ha iniziato a guardare i propri figli e a chiedersi che cosa gli stesse passando per la testa, come comunicare con loro, come spiegargli che cosa stava succedendo.

Anche i bambini sono protagonisti di ciò che accade in questi giorni e non solo spettatori.

Anche i bambini si sono trovati da un momento all’altro rinchiusi in casa, con una programmazione della giornata completamente nuova e diversa da quella che avevano prima, con molto tempo da passare con i loro genitori e nessuno spazio di gioco con i loro amici, nessuna possibilità di incontro con i loro nonni, i loro zii, i loro cugini.

I genitori hanno iniziato a chiedersi e a chiederci: quali saranno le conseguenze sui miei figli? Che cosa posso fare per aiutarli in questo periodo? Che cosa succederà dopo?

Quali strumenti possono avere i genitori per essere loro in prima linea a gestire le emozioni dei loro figli?

Lo scenario attuale

Nessuno poteva ipotizzare ciò che stiamo vivendo. I bambini si sono ritrovati di fronte ad un isolamento forzato, con una richiesta di autonomia e responsabilità altissima rispetto a quella a cui erano preparati:  abbiamo chiesto loro di occuparsi della sopravvivenza. Gli abbiamo chiesto di proteggere l’umanità oltre che se stessi. Le informazioni a cui sono stati esposti sono molto allarmanti: all’improvviso sentono parlare mamma e papà di contagio, contaminazione, morte, malattia. E vedono i loro genitori, che sono gli unici modelli di rispecchiamento emotivo disponibili in questo periodo, spaventati, allarmati, disarmati.

I bimbi, per la loro struttura mentale, necessitano di rispecchiamento emotivo multiplo poiché riescono a leggersi meglio rispecchiandosi con gli altri e, all’improvviso, sono stati privati di relazioni che prima erano significative, amici, maestre, nonni. Nonni che magari sono anche venuti a mancare a causa del virus.

I bambini sono soggetti abitudinari, che attraverso la routine riescono a prevedere. I loro programmi si sono interrotti da un momento all’altro, hanno perso la routine. Le loro giornate, prima molto strutturate, ora sono lente, imprevedibili e i genitori, anche se ci sono, non sono sempre disponibili. Inoltre, i bambini non hanno una visione del tempo uguale all’adulto, per orientarsi hanno bisogno di riferimenti precisi: la fine della giornata, il weekend, le vacanze estive. Ora non hanno elementi che li aiutino a prevedere la fine, gliela stiamo promettendo ma è molto difficile per loro immaginarsela.

È chiaro che trovarsi a vivere uno scenario di questo tipo li faccia sentire totalmente persi.

Le emozioni in gioco

È innegabile che in questo periodo molti bambini stiano vivendo una situazione piacevole, perché si sono ritrovati a casa con i genitori e hanno messo da parte le sensazioni di disagio che erano causate dall’andare a scuola o dallo svolgimento di altre attività (un’attività sportiva poco gradita, il catechismo vissuto come un obbligo faticoso, la relazione burrascosa con il compagno di banco, la lezione di musica fatta controvoglia…). È altrettanto vero, purtroppo, che tanti bambini che trovavano nella scuola e nelle relazioni fuori casa un appiglio salvifico, si trovino ora a convivere con i propri carnefici, in situazioni di grande disagio e sofferenza.

Qualunque sia la condizione abitativa, il ventaglio di emozioni che si presenta nei nostri bambini è variegato, e nel corso delle settimane si è ulteriormente articolato. Nella prima fase può esserci stata gioia, entusiasmo (finalmente vacanza!), il non dover più andare a scuola, il non dover più separarsi dai genitori… pian piano si sono presentate, però, anche paura, angoscia, ansia, rabbia, delusione (mamma e papà devono lavorare), frustrazione, noia, inadeguatezza, incomprensione.

Ora stiamo entrando nella cosiddetta “fase 2” e possiamo aspettarci altrettante emozioni quando, ad un certo punto, la porta di casa si aprirà: potrebbe arrivare l’ansia da contaminazione, l’idea di non essere più protetti, il timore di ammalarsi, di far ammalare, l’ansia da separazione, un’elevata sensibilità al giudizio (devo riconfrontarmi con diversi altri soggetti, non più solo con mamma e papà), molta eccitazione, diffidenza, depressione, apatia, senso di vuoto, smarrimento.

I genitori ci raccontano di alti e bassi, parlano di regressioni. Ma davvero possiamo chiamare regressioni l’unico modo che i nostri figli hanno di esternare le proprie emozioni e per chiederci aiuto, farsi sentire, chiedere protezione e rassicurazione? Guardiamo ai nostri figli da un’altra prospettiva, agiamo resilienza! Cos’è la resilienza? È la capacità di essere flessibili al cambiamento, è ciò che ci permette di elaborare piani di azione efficaci. Il Covid-19 ci dà questa opportunità, un tempo per stare, un tempo di relazione con i nostri bambini che difficilmente riusciremo ad avere. Come possiamo agire resilienza in questo tempo? Attraverso un’educazione emotiva che diventerà una risorsa fondamentale per affrontare gli effetti che si verificheranno nei prossimi mesi.

I benefici di un’educazione emotiva

La capacità di emozionarci è innata ma la competenza emotiva va allenata, educata. Un bambino con una buona educazione emotiva saprà riconoscere i propri stati emotivi, non si sentirà inadeguato, riuscirà a conoscere e riconoscere le situazioni, quali sono le sue attivazioni corporee e saprà reagire in modo costruttivo alla situazione.

I benefici di una buona educazione emotiva sono indiscussi: consapevolezza di sé, autostima e fiducia in sé, empatia e abilità sociali.

Linee guida per i genitori

Ogni genitore è il miglior esperto del proprio bambino, perché è lui che lo conosce e in questo momento è la più grande risorsa in campo, poiché è l’unico modello emotivo in cui il bambino si può rispecchiare.

Che cosa può fare concretamente per sostenere i propri figli e allenarli a un’educazione emotiva?

  • Accogliere l’emozione, per entrare in sintonia empatica con i propri bambini: ciò che stai provando va bene, è normale. I bambini hanno il diritto di provare quello che stanno provando e solo con questo atteggiamento di accoglienza gli insegniamo a fare altrettanto.
  • Convalidare l’ emozione, per farli sentire il più possibile compresi. Attenzione, però: questo non significa essere permissivi, vanno accettate le emozioni, non i comportamenti negativi. Come convalidare l’emozione? Innanzitutto attraverso il rispecchiamento emotivo (sai, anche io mi sento triste quando…) e poi tramite un arricchimento del loro lessico emotivo di significato e di intensità (es. fastidio/rabbia/collera)
  • Contenere fisicamente, perché un bambino in preda a forti attivazioni fisiche è una bomba pronta ad esplodere e che dobbiamo contenere. Come? Innanzitutto diciamogli che lui non è sbagliato, è normale sentire quell’emozione ed è per quello che noi siamo li, per aiutarlo. Abbracciarlo finché il vortice emotivo non passa permette di contenere l’energia, il bambino si sente più rasserenato, (“non sono cosi cattivo se riesco a stare tra le braccia di mamma o papà”) e, inoltre,  quando abbracciamo il nostro bimbo per almeno 30 secondi attiviamo in lui gli ormoni del piacere che hanno  l’effetto di abbassare gli ormoni dello stress. Attenzione: il contenimento con l’abbraccio è da fare solo se riusciamo davvero ad essere più forti del bambino, che altrimenti percepirà che nemmeno il genitore è in grado di stare con lui quando si sente così.
  • Anticipare il rischio, perché se io conosco mio figlio so che cosa più facilmente lo porta alla crisi. La fame? Il sonno?
  • Allenare la neocorteccia, la parte del cervello preposta al ragionamento e al problem solving, nella quotidianità. Educare i bambini a fare cose da soli, come versarsi l’acqua nel bicchiere, risolvere delle cose senza anticiparli. Stimolarli all’immedesimazione attraverso i libri o le situazioni che capitano nella quotidianità (“E se tu fossi quella persona/personaggio come ti sentiresti? Che cosa faresti?”).
  • Riconoscere i propri limiti, perchè questo periodo mette tanto alla prova,  se un genitore va in crisi è importante che sappia fare un passo indietro:  allontanarsi fisicamente in un’altra stanza può essere una strategia. E se scappano reazioni verbali forti, quando ci si calma è importante chiedere scusa: dire ai bambini che non hanno sbagliato a tirare fuori quell’emozione, ma siamo stati noi a sbagliare  nel tirare fuori le nostre in quel modo.

Consigli per i genitori ai tempi del Covid-19

  • Non esporre i bambini a contatto diretto con le informazioni. I bambini non hanno strumenti per decodificarle, sono rivolte ad adulti, per cui non esporre alla fonte diretta. No ai numeri;
  • Usare un linguaggio semplice, comprensibile, accertarci che il bambino abbia capito che cosa sta succedendo e perché stiamo vivendo con queste limitazioni;
  • Non mostrarsi spaventati perché diventiamo automaticamente spaventanti. Questo non significa nascondere e reprimere le proprie emozioni, dobbiamo riuscire a condividere i nostri stati emotivi in maniera più strutturata e costruttiva (“Sai che anche io ho un po’ paura di questa situazione…”);
  • Mettere enfasi su ciò che di positivo c’è stato (“Però che bello poter stare insieme questo tempo…”);
  • Dare elementi su come poter gestire il dopo ;
  • Garantire gioco e libertà di espressione attraverso varie forme artistiche e la lettura di albi illustrati.
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I terrori notturni

“Mio figlio spesso urla nel sonno e non so che cosa fare”, “Stanotte sono stata svegliata dalle urla terrorizzate di mia figlia e mi sono molto spaventata”…tanti genitori hanno provato questa esperienza e si sono chiesti quale fosse la ragione e se fosse il caso di intervenire e in quale modo.

Vediamo di seguito di che cosa si tratta, quali possono essere le cause e che cosa fare quando capita.

Il pavor nocturnus

Il pavor nocturnus, comunemente chiamato “terrore notturno” o “terrore del sonno”, è una perturbazione del sonno non patologica che rientra nella categoria delle parasonnie. Si manifesta nei bambini a partire dai 18 mesi di vita e raggiunge il picco massimo tra i 2 e 4 anni. Solitamente scompare con l’ingresso alla scuola primaria ma in rari casi può perdurare anche fino alla tarda adolescenza.

I terrori notturni si verificano poche ore dopo l’addormentamento. Il bambino all’improvviso inizia a gridare, dire frasi senza senso, piangere e può mettersi bruscamente a sedere oppure scendere dal letto. I muscoli sono tesi, le pupille dilatate, la sudorazione intensa e il respiro corto. Per coloro che assistono a queste “crisi” è davvero impressionante perché il bambino con lo sguardo perso nel vuoto, non risulta raggiungibile né con le parole né con gesti di affetto: il piccolo non riconosce i genitori e non risponde ai loro tentativi di consolazione. La “crisi” solitamente dura pochi minuti e una volta finita, il bambino torna a dormire d’un sonno profondo che, diversamente da quanto può sembrare, non si è mai interrotto. Recenti studi hanno, infatti, dimostrato che durante i terrori notturni le aree cerebrali legate al controllo del movimento si attivano, mentre quelle coinvolte nei processi di memoria o di coscienza rimangono inattive.

Pavor nocturnus vs incubo

Vi sono due differenze strettamente collegate tra loro tra i terrori notturni e gli incubi. Nel primo caso poiché la crisi si presenta nella prima parte del sonno, durante il sonno profondo (fasi 3 e 4 non-ReM), il soggetto non è cosciente e consapevole di ciò che sta vivendo. Per tale motivo il bambino al suo risveglio non ha alcun ricordo di quanto accaduto e presenta uno stato d’animo opposto a quello espresso durante la “crisi”.

Al contrario, gli incubi si verificano durante le ultime ore del sonno (fase REM) quando il soggetto è più vicino alla veglia. I brutti sogni di frequente causano risvegli che interferiscono con la qualità del sonno e del riposo. Spesso, inoltre, condizionano anche l’umore della giornata.

Le cause

Alla base del pavor nocturnus vi è la predisposizione genetica: è stato riscontrato che la possibilità di presentare i terrori notturni è dieci volte maggiore nei bambini i cui genitori hanno sperimentato nella propria vita queste o altre parasonnie (sonnambulismo, risvegli confusionali) rispetto a chi non ha familiarità.

Oltre alla predisposizione genetica, vi sono alcuni fattori precipitanti che facilitano la loro manifestazione:

  • apnee notturne
  • asma notturna
  • ipertrofia tonsillare o adenoidea
  • reflusso gastroesofageo
  • febbre
  • deprivazione da sonno
  • ritmo sonno-veglia irregolare
  • alti livelli di attivazione causati da stress, agitazione e dall’assunzione di cibi e bevande ricchi di caffeina (es. the, bibite).

Chi soffre di pavor nocturnus ha un sonno particolarmente profondo e non riuscendo a svegliarsi di fronte a queste condizioni particolari ha un risveglio parziale e inconsapevole (microrisveglio dalla fase non-ReM).

Pertanto i soggetti che vivono una o più di queste condizioni e hanno familiarità con le parasonnie manifesteranno con maggiore frequenza terrori notturni durante il sonno.

Nonostante lo spavento e il senso d’impotenza provato di fronte a queste crisi, è importante sottolineare che il pavor nocturnus non ha alcun significato patologico (neurologico, psicologico, relazionale) e non porta ad alcune conseguenze patologiche. Il pavor nocturnus non deve essere considerato preludio di altre malattie.

Che cosa fare

Il pavor nocturnus è un fenomeno innocuo che lascia amnesia al risveglio. Al contrario, se il bambino viene svegliato può presentare alcuni ricordi strettamente legati alla fase del risveglio e non all’esperienza della “crisi”. Pertanto proprio come con i sonnambuli, appare più opportuno non intervenire con l’intento di svegliare il bambino durante un terrore notturno. Un risveglio improvviso e forzato con i genitori che lo circondano spaventati chiedendogli cosa è successo e come sta, potrebbe infatti essere un’esperienza traumatica. Può, invece, essere utile parlargli con toni bassi e una voce rassicurante e prevenire l’eventualità che possa farsi male scendendo da letto creando uno spazio sicuro e protetto.

Genitori, nonni e educatori dovrebbero ricordare che

per quanto la crisi di pavor nocturnus possa essere

spaventosa, è un fenomeno innocuo per il bambino.

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I primi capricci: cosa c’è dietro?

Anche se possono assumere forme diverse, il minimo comun denominatore dei capricci è l’insistenza che alla fine può sfiancare l’adulto.  C’è chi dà luogo a sceneggiate più o meno plateali e interminabili di fronte al rifiuto di mamma o papà di comprare ciò che vuole al supermercato o all’edicola, chi non tollera sentirsi dire “basta: spegni la tv o spegni il videogioco” e chi inizia a correre per tutta la casa anziché andare in bagno a lavarsi i denti prima di andare a nanna.

Che cosa sono i capricci?

Se, da un lato, i capricci sono una componente dello sviluppo e quindi non bisogna farne eccessivamente un dramma, dall’altro è importante chiedersi a cosa siano dovute alcune reazioni, per poterle prevenire.

I capricci sono fenomeni relazionali: non si manifestano mai quando il bambino è da solo, è sempre necessaria la presenza di almeno un adulto. Nascono e si svolgono all’interno della relazione e mirano a modificare qualcosa di importante all’interno di essa.

Tendono a essere più frequenti verso i due-tre anni (per poi ricomparire sottoforma di piccole cattiverie nella prima adolescenza), in quanto questo è il primo momento dello sviluppo in cui si avverte l’esigenza di una maggiore indipendenza e il bisogno di affermarla. È un modo di verificare le regole e la pazienza degli adulti.

Il capriccio si struttura e si svolge sempre su due piani:

  • il piano esplicito e visibile da tutti, che solitamente coinvolge cose abbastanza sciocche e irrilevanti sia per il bambino che per l’adulto
  • il piano implicito, di cui solitamente si può dire che sia maggiormente consapevole il bambino.

Come riconoscerli?

Durante l’escalation di un capriccio, dal punto di vista del bambino, possono entrare in gioco diversi aspetti che ne sono la causa:

1) Il bambino ha bisogno di rassicurazione

Potrebbe succedere che un bambino diventi molto capriccioso in un periodo in cui non si sente sicuro che i genitori gli vogliano bene.  

Ad esempio se effettivamente uno o entrambi i genitori sono distratti da preoccupazioni e problemi “da grandi”, che li tengono lontani mentalmente e fisicamente dal bambino, oppure quando è in arrivo o è appena arrivato un fratellino o una sorellina. Il bambino può interpretare questa momentanea lontananza come una sorta di punizione nei suoi confronti per aver deluso i genitori.

2) Il bambino ha bisogno di sapere quanto potere ha

Può mostrarsi angosciato sia quando ha troppo potere, sia quando ne ha troppo poco. Ha bisogno di verificare quanto potere ha, da un lato per non sentirsi in balia soltanto di sé stesso (cioè non affidato a nessuno) e dall’altro lato per non sentirsi schiacciato dalla prepotenza degli altri, compresi i genitori.

3) Il bambino segnala che chi si sta prendendo cura di lui non sta gestendo adeguatamente il suo potere

I bambini hanno bisogno di coerenza in modo da potersi orientare meglio e trovare così sicurezza.  È un po’ come se, attraverso il capriccio, il bambino provocasse l’adulto per sentirsi importante per lui, per catturarne l’attenzione.

I bambini hanno bisogno che gli si dica di “No”, con fermezza e con chiarezza per soddisfare l’esigenza di percepire attorno a sé un mondo in cui ci si possano muovere con una sufficiente sicurezza.  La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell’amorevolezza, e i bambini lo sentono.

4) Il bambino ha bisogno di sapere se la persona cui è affidato è sufficientemente stabile e forte

Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l’adulto cui è affidato è una specie di marionetta in suo potere. L’insicurezza devastante che ne deriva talvolta viene affrontata dal bambino assumendo lui stesso la parte di quello “forte”, che impone il proprio volere attraverso, ad esempio, il capriccio.

Davanti ad un adulto che non è sufficientemente stabile e forte, sarà più facile che il bambino assuma atteggiamenti dispotici che rischiano addirittura di intimidire l’adulto insicuro, soprattutto se si sente per qualunque motivo colpevolizzato verso il bambino.

5) Il bambino ha bisogno di sapere che è affidato all’adulto, ma che ha anche un certo grado di autonomia da esso

Quando un bambino sente preclusa ogni possibilità di riconoscimento delle sue proprie competenze e del proprio realistico grado di autonomia, è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l’adulto con dei capricci.

Come affrontarli?

Senza aver chiari questi bisogni che, in diversa misura, possono essere alla base dei capricci, si rischia di fermarsi al piano “superficiale”, e di rimanere incastrati in un circolo di rabbia e frustrazione reciproca che non solo coinvolge il momento circoscritto del capriccio, ma può mantenersi anche successivamente.

Per evitare ciò è necessario andare oltre il piano più strettamente pretestuoso del capriccio (ad esempio, il bambino che si butta per terra disperato al momento dell’ingresso a scuola o quando gli viene negato il gusto preferito del gelato), e capire in quale bisogno si sente minacciato. Oltre a ciò risulta fondamentale fissare regole chiare e precise e limiti ben definiti.

Ovviamente esistono delle differenze legate al temperamento e ci sono dei bambini particolarmente testardi e più propensi al capriccio. É spesso vero, però, che questi bambini hanno genitori con una personalità simile, per cui in alcune famiglie gli “scontri” tra volontà “forti” possono essere più frequenti che in altre. Così come, d’altro canto, ci sono genitori troppo lassisti, che non insegnano chiaramente ai figli a discriminare tra ciò che è accettabile e ciò che invece non lo è. La virtù, come spesso accade, sta nel mezzo: i genitori dovrebbero cercare di essere né troppo intransigenti né troppo permissivi.

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L’ansia nei bambini: educare alla fiducia attraverso il gioco

Negli ultimi anni il numero di bambini e ragazzini che manifesta specifici disturbi d’ansia ha raggiunto un livello tale da costituire un vero e proprio allarme sociale. Pare che il 21% dei ragazzi di 8, 12 e 17 anni presenti una sintomatologia tale da giustificare una diagnosi di ansia.

L’ansia in età infantile è strettamente legata alla paura.

Durante l’età scolare le paure più frequenti sono per gli animali, i vampiri, i lupi, gli alieni, le streghe, gli insetti, gli eventi naturali. Verso i 7 anni inizia a comparire la paura della morte e cresce la paura legata a prestazioni scolastiche  o sportive. La fascia di età più delicata per l’emergere di preoccupazioni importanti si colloca tra le seconda e la quarta elementare. Solitamente le paure infantili svaniscono, anche se intense, abbastanza velocemente, salvo ripresentarsi prima di andare a letto, uno dei primi momenti di separazione.

Non è facile per genitori e insegnanti discriminare tra una paura normale ed un’ansia patologica: l’ansia è normale e prevedibile in certi momenti dello sviluppo, soprattutto durante i salti evolutivi, come nella separazione dai genitori, oppure quando i bambini rimangono soli al buio o durante un temporale.

Diventa un problema se interferisce con le consuete attività giornaliere, le rende più complesse e sofferenti, durante la scuola, a casa o in compagnia di altri coetanei. L’ansia non deve infatti essere avvertita dal bambino come pervasiva, troppo intensa e disorganizzante.

L’unico modo che abbiamo per capire che genere di ansia prova il nostro bambino è osservare il suo comportamento e conoscere più da vicino che cos’è e come si manifesta l’ansia.

L’ansia può essere un’emozione, uno stato fisico, pensieri o credenze perturbanti. Comprende preoccupazioni, fissazioni, tic nervosi, ossessioni…e paura estrema. La maggior parte dei bambini è ansiosa di tanto in tanto, altri lo sono quasi sempre. Il contrario di preoccupazione, o ansia, è la fiducia che andrà tutto bene.

L’ansia comporta un problema nella regolazione delle emozioni e nasce dalla tendenza a percepire l’emozione che si sta provando come inaccettabile, fastidiosa o troppo dolorosa. Le più comuni manifestazioni d’ansia  in età infantile sono:

  • Minzione frequente
  • Disturbi Gastrointestinali
  • Incontinenza
  • Pensieri ansiosi
  • Credenze pessimistiche
  • Ruminazione mentale
  • Rigidità cognitiva
  • Tic nervosi
  • Stato emotivo di allarme, sentirsi sempre in guardia
  • Timori di cose specifiche reali/immaginari
  • Tendenza a percepire il mondo come minaccioso
  • Evitare tutto ciò che può suscitare paura
  • Pattern di comportamento come timidezza, essere appiccicoso, indecisione, perfezionismo
  • Crescenti richieste di rassicurazione

 

CHE COSA PUÒ FARE UN GENITORE CON UN FIGLIO ANSIOSO?

  1. Educare con empatia

Il primo passo è l’empatia, cioè la capacità di sentire ciò che vostro figlio sente: che cosa si prova ad essere dentro la sua testa che lo fa sentire così ansioso? Senza empatia è facile respingere le sue paure. Risposte non empatiche potrebbero essere: “non essere sciocco”, “non c’è niente di cui aver paura”, “hai paura solo tu”… Chiaramente non vogliamo essere sprezzanti: vogliamo rassicurarlo, aiutarlo a calmarsi, alleviare le sue sofferenze, tuttavia il bambino può facilmente sentirsi sminuito. Dicendogli così in realtà lo stiamo liquidando. Il contrario di liquidare è RICONOSCERE: “mi sembri un po’ spaventato, vuoi darmi la mano?”, “se avessi avuto quell’ incubo anche io mi sentirei così”, “anche se alla fine è andato tutto bene so che eri molto preoccupato”. Se pensiamo ad una delle paure più comuni, la paura del buio, spesso la trascuriamo perché noi sappiamo che i nostri figli sono al sicuro… ma loro non sono in grado di aggrapparsi a quest’ idea confortante, hanno bisogno che noi accettiamo che loro sono spaventati.

  1. Non ridicolizzare

Chi siamo noi per affermare che la preoccupazione di un bambino è ridicola? Certo, i mostri sotto al letto non sono reali, ma la paura si! Il ridicolo è un vicolo cieco. Se i bambini non si sentono compresi, tra noi e loro si crea un muro che non gli permetterà di condividere con noi le paure più profonde. Molte paure infantili sono proprio così, troppo grandi da descrivere a parole, per cui spesso i bambini le trasformano in qualcosa di reale come una brutta ombra sul soffitto. Il conforto e la connessione sono le cose di cui necessitano maggiormente soprattutto prima di andare a dormire.

  1. Non giudicare

Ricordiamoci di astenerci sempre dal giudicare la legittimità delle paure: tutte le paure sono valide, poiché sono la riflessione di sentimenti che si stanno provando. Questo non significa che dobbiamo condividere, nel senso di esser d’accordo, con una paura che riteniamo non abbia molto senso, però una frase “vedo che hai paura” è sincera e non giudicante, perché accoglie la paura, non la situazione che la genera, mentre dire “perché hai paura del buio, solo tu ce l’hai!”  fa passare il messaggio che i sentimenti provati sono sbagliati.

I bambini si sentono rassicurati meglio dopo che i loro sentimenti sono stati convalidati. Quando si sentono capiti sono più propensi ad apprezzare ciò che diciamo loro. Il modo migliore e più semplice per convalidare i sentimenti di un bambino è rifletter ciò che loro ci dicono.

  1. Proiettare fiducia rasserenante

Ovviamente non possiamo pretendere che i bambini superino le loro paure se non diamo il buon esempio. I bambini hanno bisogno di vedere che mettiamo in pratica noi per primi ciò che predichiamo. Dobbiamo essere noi in prima persona a uscire dalla nostra ansia, solo così potremo sottoporre ai bambini una serie di piccole sfide, ciascuna più grande della precedente. Ciò significa inevitabilmente frustrazione e dolore, che dobbiamo imparare a tollerare.

È un lavoro difficile perché il bambino ansioso è ipersensibile all’ansia e meno sensibile alla calma delle persone: se siete in ansia vi beccherà subito, se vi mostrate calmi e comprensivi sarà comunque un percorso che richiede costanza. Potrebbe anche essere che l’esempio calmo e rassicurante non siate sempre voi genitori; a tutti capita la giornata storta, o particolarmente triste, in cui non si sarebbe molto di aiuto…in questi casi è importante affidarsi al partner o a chi in quel momento è in grado di inviare al bambino messaggi del tipo “io sono tranquillo, perciò tu sei al sicuro” che per voi in quel momento potrebbe essere difficile. È importante che i bambini ansiosi vengano sempre spinti verso nuove sfide, altrimenti gli si riconferma l’idea che in effetti un pericolo c’è.

Tutto ciò è importante che passi ai vostri figli attraverso il GIOCO. Il gioco fisico, in particolar modo, aiuta i bambini ad entrare in contatto con voi e a liberare alcune emozioni che fanno fatica ad uscire. Quindi… mettetevi per terra con i bambini e fate la lotta con i cuscini o permettetegli di rannicchiarsi su di voi! Programmare regolarmente dei momenti di giochi fisici promuovono la fiducia in se stessi e permettono loro di ricreare un senso di connessione con voi.

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Uno sport per ogni bambino

A volte i bambini si rifiutano di praticare attività fisica, o fanno i capricci, ma è importante abituarli a questo sano comportamento sin da piccoli, per garantire con maggiore probabilità che continuino ad essere adolescenti e poi adulti sportivi!

Ecco di seguito 4 semplici mosse che possono aiutare il tuo bambino a convincersi che FARE SPORT E’ BELLO!

1) FAI ANCHE TU ATTIVITA’ FISICA:  I bambini piccoli spesso non fanno ciò che gli viene detto di fare ma ciò che osservano del tuo comportamento. Quindi sii il loro MODELLO! Nulla avrà per loro più valore che vedere il genitore stesso fare sport: sarà una grande spinta.

…e poi c’è un secondo vantaggio: farà bene anche alla tua mente e al tuo corpo!

2) INCORAGGIALO A CONOSCERE I DIVERSI SPORT: Esistono moltissimi sport, più o meno noti. Non pretendere che il tuo bambino giochi a calcio perché a te piaceva tanto, o che tua figlia frequenti un corso di danza perché era il tuo sogno nel cassetto e pensi che tutte le bimbe la adorino. Discuti con tuo figlio i vari tipi di sport, faglieli conoscere e cercate di capire insieme quale potrebbe piacergli di più.

3) PERMETTIGLI DI SPERIMENTARE: Per un bambino ogni esperienza è nuova e arricchente! Assecondalo se dopo un periodo vuole provare un altro sport, incoraggialo a sperimentarsi anche in attività come nuoto, corsa, yoga, stretching… Guardate insieme i video in internet (youtube è pieno!) e ogni volta che sperimenterà un movimento, indirizza la sua attenzione sul corpo, in modo che sia consapevole del movimento e degli effetti che esso ha sul suo corpo. Si sente più forte? Ha più energie?

Tutto questo farà capire a tuo figlio che cosa gli piace e cosa no, gli permetterà di essere maggiormente in contatto con il suo corpo e di sentirsi più sicuro.

4) NON ASSOCIARE MAI L’ATTIVITA’ FISICA CON IL SUO PESO O LA SUA IMMAGINE CORPOREA:  Innanzitutto è noto che l’attività fisica da sola non basta per perdere peso. Inoltre, associare nella mente del bambino l’attività fisica con il calo del peso o con la sua immagine corporea può portare in seguito a disordini alimentari.

Lo sport è positivo di per sé perché diverte e consente di sviluppare molte e svariate competenze (socialità, disciplina, rispetto…).

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