BIMBI ED EMOZIONI

Molti conoscono l’importanza delle regole per i bambini. Le regole aiutano i più piccoli a dare un senso al mondo che li circonda, a discernere il giusto dallo sbagliato, a proteggere e a far sentire al sicuro, ad accompagnare alla crescita, all’autonomia fino al debutto nella società. 

In pochi, però, riconoscono il ruolo fondamentale delle regole per uno sviluppo emotivo armonico del bambino. Le regole infatti, per quanto faticose, aiutano anche a stare bene.

Essere felici vuol dire “stare bene”?

Un piccolo spunto per riflettere insieme… 

Osserva le fotografie. Quali sono i bambini che sembrano “stare bene emotivamente”?

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La grande maggioranza delle persone risponderà i bambini delle fotografie numero 3 e 4. 

Oggigiorno l’idea di benessere è associata alla felicità: stiamo bene se siamo felici. In realtà, un bambino che sta bene emotivamente, è un bambino le cui reazioni emotive sono in linea con lo stimolo che le attiva. Ogni reazione è la conseguenza ad uno stimolo mediata dai vissuti emotivi e, man mano che si cresce, anche dalla valutazione cognitiva. Il pianto di un bambino piccolo di fronte al genitore che gli toglie il tablet (fotografia n.2), privandolo così di qualcosa che procura piacere e divertimento, è un pianto giustificato perché in reazione a qualcosa di sgradevole per lui. Gli eccessi d’ira, come il buttarsi per terra, agitarsi e piangere disperatamente, sono tipici dei bambini fino ai 3-4 anni ma poi, con lo sviluppo del linguaggio e la maturazione cognitiva, gli “agiti” lasciano il posto “alla parola”. Il pianto disperato di un bambino più grandicello che si trova a vivere la stessa situazione potrebbe essere, invece, una reazione smisurata e poco equilibrata in quanto ci si aspetterebbe da lui una reazione più controllata e mediata dalle competenze acquisite con la crescita.

Anche ridere e gioire per riuscire ad andare in bicicletta senza appoggiare i piedi sui pedali (fotografia n.4) può essere una reazione sana ed equilibrata! Ci è impossibile, invece, riconoscere e identificare come bambini equilibrati o poco equilibrati emotivamente, i bambini delle altre fotografie in quanto non conosciamo gli eventi che hanno scaturito le loro reazioni emotive.

I campanelli d’allarme

Molteplici sono le funzioni delle emozioni. Tra tutte, la più importante è quella di segnalare che si è verificato un cambiamento dello stato del mondo interno o esterno. L’emozione è un “campanello d’allarme”, avvisa della rottura di un equilibrio interno e spinge l’uomo ad agire per raggiungere il proprio obiettivo e quindi lo stato di benessere. La paura ci protegge dai possibili pericoli, la rabbia ci spinge all’autodifesa, la sorpresa all’esplorazione, la gioia all’affiliazione… le emozioni ci garantiscono l’adattamento e la sopravvivenza!

Le emozioni sono anche i motivatori dei nostri comportamenti e i facilitatori delle nostre relazioni: comunicando all’altro il nostro stato affettivo, permettono a chi ci sta accanto di prevedere il nostro comportamento.

La famiglia come “palestra emotiva”

La famiglia è un contesto protetto e sicuro in cui poter fare esperienza di un ampio ventaglio di vissuti, anche i più “spiacevoli”.

I “no” dei genitori offrono al bambino la possibilità di conoscere anche le emozioni “sgradevoli” (quali rabbia, tristezza e frustrazione) e quindi di iniziare a comprenderle e a “digerirle”. La famiglia è una “palestra emotiva”, un contesto protetto e sicuro, che ha il compito di allenare il bambino a esperire anche tali emozioni per aiutarlo a far pratica e a individuare strategie funzionali per farvi fronte; solo così, infatti, un domani il bambino sarà pronto a gestire il proprio mondo emotivo anche nei contesti meno familiari, ad esempio la scuola. 

L’esperienza aiuta a crescere e a prepararsi per affrontare il mondo!

Di fronte ad un divieto imposto dai genitori, le esperienze precedenti porteranno il bambino, nel corso del tempo, a capire che alcune reazioni, quali urlare e battere i piedi, non servono a ottenere ciò che desidera. Se una situazione simile si ripresenterà a scuola, il bambino prima di tutto sarà in grado di riconoscere che il vissuto emotivo è simile a qualcosa di già provato, di non pericoloso perchè passeggero e sopportabile; successivamente, anche grazie allo sviluppo cognitivo, capirà quali strategie mettere in atto per farvi fronte in base alle esperienze pregresse.

Le emozioni spiacevoli attivano e promuovono numerose skills: 

  • il pensiero critico (l’abilità di saper analizzare le informazioni, le situazioni ed esperienze in modo oggettivo, distinguendo la realtà dalle proprie impressioni e pregiudizi);
  • la gestione dello stress (riconoscere il proprio stato di stress e intervenire per modificare lo stato in cui si è, agendo sull’ambiente oppure sui propri pensieri, emozioni e reazioni abituali); 
  • il problem solving (l’abilità di saper rispondere nel miglior modo possibile a una determinata situazione critica); 
  • il pensiero creativo (trovare alternative originali nelle situazioni difficili o in situazioni nuove e sconosciute).  

Tollerare la sofferenza e il dispiacere dei figli è un compito difficile per i genitori; spesso suscita sensi di colpa e sentimenti di inadeguatezza. Se però giustificata e finalizzata a tenere i più piccoli al sicuro, è importante ricordare che un bambino che non ha mai provato rabbia o tristezza non è un bambino che sta bene, ma è un bambino impreparato ad affrontare la vita reale e il confronto con se stesso e con l’altro. Il bambino che sta bene, invece, avendo sperimentato molteplici emozioni, non si spaventa di fronte alla rabbia o alla tristezza, non si “disintegra” perché sa di poterle affrontare trovando risorse in sé.

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SINDROME DA BURNOUT: QUANDO LAVORARE E’ MOLTO PIU’ CHE STANCANTE

La sindrome da Burnout, termine inglese con cui ci si riferisce all’esaurimento professionale (letteralmente“fuso”), è una condizione sempre più frequente legata ad un insuccesso nel processo di adattamento lavorativo. E’ un disturbo dilagante nel mondo occidentale, sempre più esigente a livello di prestazioni, tecnologizzato, iperveloce, iperattivo e iperconnesso.

Se a inizio 1900 il termine burnout compariva prevalentemente nel mondo dello sport, a partire dagli anni ’80 la psichiatra statunitense  Christina Maslach l’ha allargato alla sfera lavorativa  per evidenziare un disagio che colpisce le professioni in cui prevalgono le relazioni interpersonali e sono spesso legate all’aiuto del prossimo (medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, poliziotti, vigili del fuoco, volontari…). Nel tempo, tra le categorie di lavoratori a rischio, sono state incluse anche quelle in cui si è spesso a contatto con il pubblico (centralinisti, , impiegati, segretari, insegnanti avvocati).

Sintomatologia e manifestazione

È una sindrome multifattoriale caratterizzata da un rapido decadimento delle risorse psicofisiche e da un peggioramento delle prestazioni professionali.

La sintomatologia è varia si presenta a livello fisico e psicologico.

Sintomi fisici:

•          Affaticamento

•          Disturbi gastrointestinali

•          Mal di testa

•          Respiro corto

•          Insonnia

•          Perdita di peso

•          Frequenti influenze

Sintomi psicologici:

•          Ansia

•          Ridotta efficacia professionale

•          Disinteresse per i rapporti interpersonali

•          Disistima

•          Rabbia

•          Sensazione di fallimento

•          Colpa

•          Stanchezza

•          Isolamento

•          Negativismo

Il burnout appare come l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che lavorano nel momento in cui le stesse non siano in grado di reagire e rispondere in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress a cui la mansione svolta espone.

Il processo che porta all’esaurimento sembra strutturarsi in tre fasi:

  1. Fase dello stress: si inizia ad avvertire un primo livello di stress lavorativo che mette in evidenza uno squilibrio tra le richieste provenienti dal contesto lavorativo e le risorse personali disponibili.
  2. Fase dell’esaurimento: di fronte allo stress l’organismo produce una risposta emotiva immediata e transitoria connotata da ansia, irritabilità, fatica e tensione costante.
  3. Fase di difesa: la tensione accumulata nel tempo aumenta e ci si difende con atteggiamenti e comportamenti caratterizzati da cinismo, rigidità e distacco emotivo.

Chi attraversa queste fasi che portano all’esaurimento sperimenta un graduale passaggio da una condizione di “entusiasmo realistico” in cui prevalgono idealismo ed elevate aspettative sul proprio ruolo nel contesto lavorativo, ad una condizione di “stagnazione e demotivazione” in cui prevale la percezione che il proprio investimento psicofisico non sia sufficiente a condurre ai risultati attesi, ad un’intollerabile sensazione di “frustrazione” che, infine, conduce ad una condizione di “apatia”, caratterizzata da un graduale disimpegno emozionale.

Cause

Cosa porta ad una simile condizione di esaurimento psicofisico?

Diverse sono le situazioni lavorative che innescano il processo tensivo che conduce alla sindrome di burnout:

  • Struttura organizzativa: distribuzione dei compiti e delle funzioni all’interno di un’organizzazione
  • Scarsa chiarezza nei ruoli: insufficienza di informazioni in relazione ad una determinata posizione
  • Conflitto di ruoli: esistenza di richieste che il lavoratore ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale
  • Sovraccarico: un eccessivo carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità, che non permettono al lavoratore di portare avanti una buona prestazione lavorativa
  • Mancanza di stimolazione: monotonia della mansione assegnata

Fattori di rischio e fattori protettivi

Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di sindrome da burnout si possono rintracciare fattori individuali, legati a caratteristiche personologiche, e fattori situazionali, legati a struttura e organizzazione del luogo di lavoro.

  • Fattori individuali:
  • ambizione
  • aggressività
  • iperattività
  • ostilità
  • motivazione
  • aspettative personali
  • Fattori situazionali:
  • mancanza di comunicazione
  • leadership inefficace
  • formazione inadeguata
  • sovraccarico lavorativo
  • imprevedibilità nei compiti
  • relazioni conflittuali tra colleghi
  • retribuzione inadeguata
  • mancanza di feedback positivo

I fattori protettivi, d’altro canto, seppur in presenza di un elevato numero di fattori di rischio, consentono al lavoratore di smorzare l’effetto negativo dei primi segnali di disagio, promuovendo una nuova visione della situazione e una ristrutturazione emotiva.

Fondamentali risultano:

  • Supporto sociale
  • Ascolto attivo
  • Comunicazione efficace
  • Formazione continua

Strategie

Lo stress cronico da lavoro difficilmente si risolve con una semplice pausa o con una vacanza, ma si può combattere prima di arrivare ad un punto di non ritorno. Essenziale è, in primis, riconoscere i segnali di uno stress eccessivo  che arreca insostenibili malesseri psicofisici. Spesso la prima e istintiva risposta messa in atto risulta assentarsi frequentemente dal lavoro o essere distratti e svogliati. Consapevoli che questo approccio difficilmente può portare ad un cambiamento della situazione stressogena, o della propria sensazione di disagio, occorre provare a muovere passi in altre direzioni:

  • porsi degli obiettivi realmente raggiungibili;
  • staccare la spina prendendo per sé tanti piccoli momenti di pausa, anche quando si è impegnati in compiti a cui non ci si può sottrarre;
  • fare una lista di piccole cose da fare, da spuntare man mano che si portano a termine nel corso della giornata;
  • non isolarsi;
  • considerare le altre persone come una risorsa: condividere loro le proprie emozioni è un modo per dare loro una forma e chiarirle anche a se stessi;
  • lavorare, quando è possibile, in modalità smartworking dà la possibilità di svolgere i propri compiti nello spazio in cui ci si sente più a proprio agio e di diminuire la frequenza di esposizione a fonti stressanti.
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I bambini e il Covid-19: linee guida per i genitori

Il 23 febbraio 2020 a Milano e in altre città il tempo si è fermato. Ci hanno chiesto, con provvedimenti via via più restrittivi, di rinunciare alle libertà di cui avevamo goduto dalla nascita e che avevamo sempre dato per scontate. Ad inizio marzo le limitazioni sono state estese a tutta Italia e abbiamo iniziato ad interrogarci sulla tenuta economica, sui risvolti sociali e psicologici, abbiamo cominciato ad indossare mascherine e guanti, a fare la fila per entrare in un supermercato e a chiederci quando e se riavremmo avuto indietro la nostra vita.

Con il passare dei giorni chi è anche genitore ha iniziato a guardare i propri figli e a chiedersi che cosa gli stesse passando per la testa, come comunicare con loro, come spiegargli che cosa stava succedendo.

Anche i bambini sono protagonisti di ciò che accade in questi giorni e non solo spettatori.

Anche i bambini si sono trovati da un momento all’altro rinchiusi in casa, con una programmazione della giornata completamente nuova e diversa da quella che avevano prima, con molto tempo da passare con i loro genitori e nessuno spazio di gioco con i loro amici, nessuna possibilità di incontro con i loro nonni, i loro zii, i loro cugini.

I genitori hanno iniziato a chiedersi e a chiederci: quali saranno le conseguenze sui miei figli? Che cosa posso fare per aiutarli in questo periodo? Che cosa succederà dopo?

Quali strumenti possono avere i genitori per essere loro in prima linea a gestire le emozioni dei loro figli?

Lo scenario attuale

Nessuno poteva ipotizzare ciò che stiamo vivendo. I bambini si sono ritrovati di fronte ad un isolamento forzato, con una richiesta di autonomia e responsabilità altissima rispetto a quella a cui erano preparati:  abbiamo chiesto loro di occuparsi della sopravvivenza. Gli abbiamo chiesto di proteggere l’umanità oltre che se stessi. Le informazioni a cui sono stati esposti sono molto allarmanti: all’improvviso sentono parlare mamma e papà di contagio, contaminazione, morte, malattia. E vedono i loro genitori, che sono gli unici modelli di rispecchiamento emotivo disponibili in questo periodo, spaventati, allarmati, disarmati.

I bimbi, per la loro struttura mentale, necessitano di rispecchiamento emotivo multiplo poiché riescono a leggersi meglio rispecchiandosi con gli altri e, all’improvviso, sono stati privati di relazioni che prima erano significative, amici, maestre, nonni. Nonni che magari sono anche venuti a mancare a causa del virus.

I bambini sono soggetti abitudinari, che attraverso la routine riescono a prevedere. I loro programmi si sono interrotti da un momento all’altro, hanno perso la routine. Le loro giornate, prima molto strutturate, ora sono lente, imprevedibili e i genitori, anche se ci sono, non sono sempre disponibili. Inoltre, i bambini non hanno una visione del tempo uguale all’adulto, per orientarsi hanno bisogno di riferimenti precisi: la fine della giornata, il weekend, le vacanze estive. Ora non hanno elementi che li aiutino a prevedere la fine, gliela stiamo promettendo ma è molto difficile per loro immaginarsela.

È chiaro che trovarsi a vivere uno scenario di questo tipo li faccia sentire totalmente persi.

Le emozioni in gioco

È innegabile che in questo periodo molti bambini stiano vivendo una situazione piacevole, perché si sono ritrovati a casa con i genitori e hanno messo da parte le sensazioni di disagio che erano causate dall’andare a scuola o dallo svolgimento di altre attività (un’attività sportiva poco gradita, il catechismo vissuto come un obbligo faticoso, la relazione burrascosa con il compagno di banco, la lezione di musica fatta controvoglia…). È altrettanto vero, purtroppo, che tanti bambini che trovavano nella scuola e nelle relazioni fuori casa un appiglio salvifico, si trovino ora a convivere con i propri carnefici, in situazioni di grande disagio e sofferenza.

Qualunque sia la condizione abitativa, il ventaglio di emozioni che si presenta nei nostri bambini è variegato, e nel corso delle settimane si è ulteriormente articolato. Nella prima fase può esserci stata gioia, entusiasmo (finalmente vacanza!), il non dover più andare a scuola, il non dover più separarsi dai genitori… pian piano si sono presentate, però, anche paura, angoscia, ansia, rabbia, delusione (mamma e papà devono lavorare), frustrazione, noia, inadeguatezza, incomprensione.

Ora stiamo entrando nella cosiddetta “fase 2” e possiamo aspettarci altrettante emozioni quando, ad un certo punto, la porta di casa si aprirà: potrebbe arrivare l’ansia da contaminazione, l’idea di non essere più protetti, il timore di ammalarsi, di far ammalare, l’ansia da separazione, un’elevata sensibilità al giudizio (devo riconfrontarmi con diversi altri soggetti, non più solo con mamma e papà), molta eccitazione, diffidenza, depressione, apatia, senso di vuoto, smarrimento.

I genitori ci raccontano di alti e bassi, parlano di regressioni. Ma davvero possiamo chiamare regressioni l’unico modo che i nostri figli hanno di esternare le proprie emozioni e per chiederci aiuto, farsi sentire, chiedere protezione e rassicurazione? Guardiamo ai nostri figli da un’altra prospettiva, agiamo resilienza! Cos’è la resilienza? È la capacità di essere flessibili al cambiamento, è ciò che ci permette di elaborare piani di azione efficaci. Il Covid-19 ci dà questa opportunità, un tempo per stare, un tempo di relazione con i nostri bambini che difficilmente riusciremo ad avere. Come possiamo agire resilienza in questo tempo? Attraverso un’educazione emotiva che diventerà una risorsa fondamentale per affrontare gli effetti che si verificheranno nei prossimi mesi.

I benefici di un’educazione emotiva

La capacità di emozionarci è innata ma la competenza emotiva va allenata, educata. Un bambino con una buona educazione emotiva saprà riconoscere i propri stati emotivi, non si sentirà inadeguato, riuscirà a conoscere e riconoscere le situazioni, quali sono le sue attivazioni corporee e saprà reagire in modo costruttivo alla situazione.

I benefici di una buona educazione emotiva sono indiscussi: consapevolezza di sé, autostima e fiducia in sé, empatia e abilità sociali.

Linee guida per i genitori

Ogni genitore è il miglior esperto del proprio bambino, perché è lui che lo conosce e in questo momento è la più grande risorsa in campo, poiché è l’unico modello emotivo in cui il bambino si può rispecchiare.

Che cosa può fare concretamente per sostenere i propri figli e allenarli a un’educazione emotiva?

  • Accogliere l’emozione, per entrare in sintonia empatica con i propri bambini: ciò che stai provando va bene, è normale. I bambini hanno il diritto di provare quello che stanno provando e solo con questo atteggiamento di accoglienza gli insegniamo a fare altrettanto.
  • Convalidare l’ emozione, per farli sentire il più possibile compresi. Attenzione, però: questo non significa essere permissivi, vanno accettate le emozioni, non i comportamenti negativi. Come convalidare l’emozione? Innanzitutto attraverso il rispecchiamento emotivo (sai, anche io mi sento triste quando…) e poi tramite un arricchimento del loro lessico emotivo di significato e di intensità (es. fastidio/rabbia/collera)
  • Contenere fisicamente, perché un bambino in preda a forti attivazioni fisiche è una bomba pronta ad esplodere e che dobbiamo contenere. Come? Innanzitutto diciamogli che lui non è sbagliato, è normale sentire quell’emozione ed è per quello che noi siamo li, per aiutarlo. Abbracciarlo finché il vortice emotivo non passa permette di contenere l’energia, il bambino si sente più rasserenato, (“non sono cosi cattivo se riesco a stare tra le braccia di mamma o papà”) e, inoltre,  quando abbracciamo il nostro bimbo per almeno 30 secondi attiviamo in lui gli ormoni del piacere che hanno  l’effetto di abbassare gli ormoni dello stress. Attenzione: il contenimento con l’abbraccio è da fare solo se riusciamo davvero ad essere più forti del bambino, che altrimenti percepirà che nemmeno il genitore è in grado di stare con lui quando si sente così.
  • Anticipare il rischio, perché se io conosco mio figlio so che cosa più facilmente lo porta alla crisi. La fame? Il sonno?
  • Allenare la neocorteccia, la parte del cervello preposta al ragionamento e al problem solving, nella quotidianità. Educare i bambini a fare cose da soli, come versarsi l’acqua nel bicchiere, risolvere delle cose senza anticiparli. Stimolarli all’immedesimazione attraverso i libri o le situazioni che capitano nella quotidianità (“E se tu fossi quella persona/personaggio come ti sentiresti? Che cosa faresti?”).
  • Riconoscere i propri limiti, perchè questo periodo mette tanto alla prova,  se un genitore va in crisi è importante che sappia fare un passo indietro:  allontanarsi fisicamente in un’altra stanza può essere una strategia. E se scappano reazioni verbali forti, quando ci si calma è importante chiedere scusa: dire ai bambini che non hanno sbagliato a tirare fuori quell’emozione, ma siamo stati noi a sbagliare  nel tirare fuori le nostre in quel modo.

Consigli per i genitori ai tempi del Covid-19

  • Non esporre i bambini a contatto diretto con le informazioni. I bambini non hanno strumenti per decodificarle, sono rivolte ad adulti, per cui non esporre alla fonte diretta. No ai numeri;
  • Usare un linguaggio semplice, comprensibile, accertarci che il bambino abbia capito che cosa sta succedendo e perché stiamo vivendo con queste limitazioni;
  • Non mostrarsi spaventati perché diventiamo automaticamente spaventanti. Questo non significa nascondere e reprimere le proprie emozioni, dobbiamo riuscire a condividere i nostri stati emotivi in maniera più strutturata e costruttiva (“Sai che anche io ho un po’ paura di questa situazione…”);
  • Mettere enfasi su ciò che di positivo c’è stato (“Però che bello poter stare insieme questo tempo…”);
  • Dare elementi su come poter gestire il dopo ;
  • Garantire gioco e libertà di espressione attraverso varie forme artistiche e la lettura di albi illustrati.
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Lettera agli adolescenti nei giorni del coronavirus

Vi invitiamo a leggere questo interessante spunto dello psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, che ha sintetizzato nella sua “Lettera agli adolescenti nei giorni del coronavirus” la visione dell’attuale modello educativo che molti adolescenti di oggi hanno ricevuto, facendone delle accurate e puntuali critiche.

Care ragazze, cari ragazzi

in questo difficile momento è molto importante che ognuno di noi si assuma nuove responsabilità, per sé, per gli altri, per tutta la comunità. Proprio per questo abbiamo deciso di scrivere un sermone che parta da noi, che parli di noi, risparmiandovi, almeno in questa occasione, il solito discorsetto infantilizzante. È giusto comunicarvi che, come è evidente, in questi ultimi anni noi adulti non siamo stati in grado di assumerci le responsabilità necessarie a garantire a voi giovani, e probabilmente anche ai vostri figli, un presente stabile e un futuro non troppo fosco. Non lo abbiamo fatto perché eravamo e siamo cattivi, ma perché una grande crisi di valori ci ha portato a privilegiare il profitto, l’individualismo, l’audience, a concentrarci su un’etica affettiva valida solo per la nostra famiglia, per il nostro caro piccolo nucleo. Progressivamente ci siamo disinteressati degli altri, anche dei figli degli altri, se non come soggetti che vi avrebbero invitati alle loro festine di compleanno, a non farvi sentire soli, esclusi. Appena i figli degli altri, i vostri compagni delle primarie, hanno iniziato ad avere comportamenti non rispondenti alle nostre aspettative o mostrato difficoltà, abbiamo subito pensato che vi avrebbero ostacolato nei processi di apprendimento, li abbiamo considerati come dei disturbatori sulla strada della vostra crescita e ci siamo lamentati con le maestre. Lo abbiamo fatto per il vostro bene, convinti di darvi più possibilità, non comprendendo che i bambini con più difficoltà sono una risorsa, aiutano ad avvicinarsi ai dolori e agli inciampi della vita, contribuiscono alla crescita personale e valoriale, non rappresentano qualcuno che ti fa rimanere indietro nel programma di matematica. Abbiamo così contribuito, anche se con tutte le buone intenzioni, a rendervi fragili e a non farvi comprendere l’importanza della solidarietà, in primis per voi stessi, oltre che per gli altri.

Chi se lo poteva permettere, poi, vi ha portato in giro per il mondo e pagato biglietti aereo, spingendovi a viaggiare ma con il “cercapersona”, detto anche cellulare, in tasca e sotto scorta degli adulti. Nessuna esperienza di vera autonomia perché, in realtà, eravamo abitati da paure e paranoie su cosa vi sarebbe accaduto fuori casa, nel mondo pericoloso, e così abbiamo chiuso cortili e giardinetti. A proposito di responsabilità è giusto confidarvi un segreto: l’affissione della scritta “vietato il giuoco del pallone” e la trasformazione dei cortili in box per auto non è stata una vostra iniziativa, né dell’industria bellica dei videogiochi e neanche dell’inventore di “Fortnite”. Sono stati provvedimenti di responsabilità adulta, per proteggervi dai malintenzionati e per non vedervi tornare a casa con sbucciature sulle ginocchia, per noi diventate fonte di sofferenza intollerabile. Per questo vi accompagniamo tutte le mattine a scuola e vi veniamo a prendere all’uscita, per proteggervi e farvi capire che degli altri c’è poco da fidarsi.

Volevamo aiutarvi a far parte di un mondo che nel frattempo, senza neanche accorgercene, stavamo distruggendo a forza di disboscamenti, plastificazione e inquinamento atmosferico. Sempre sotto la nostra responsabilità vi abbiamo anche più volte detto che non avreste trovato lavoro, che sareste diventati più poveri di noi, e non era una minaccia, ma ci siamo proprio impegnati a fare in modo che diventasse realtà. Infatti, oggi, gli scienziati dell’economia confermano che ce l’abbiamo fatta. Intanto, voi preadolescenti e adolescenti, così propensi a darci fiducia, ad ascoltare i nostri consigli e a prendervi carico delle nostre preoccupazioni, avete sostituito i pomeriggi che tutti noi trascorrevamo per strada, in piazze virtuali e in battaglie molto meno violente nelle conseguenze reali, perché virtuali appunto, di quelle che combattevamo noi con fionde, cerbottane, miccette, pistole spara gommini, pallonate violente in faccia agli amici. Epoche passate, in cui le ferite del corpo dei figli erano meglio tollerate, al punto da essere all’ordine del giorno. A questo punto però, sempre in nome della nostra responsabilità adulta, vi abbiamo detto che questo vostro comportamento era da considerarsi esagerato, sconsiderato. Così abbiamo deciso di comunicarvi che il vostro uso di internet, smartphone, videogiochi e social network era smodato, anzi era diventato una dipendenza. Il vostro utilizzo, non il nostro, che avevamo iniziato a fotografarvi ancora prima della vostra nascita il giorno dell’ecografia morfologica, per poi proseguire con centinaia di foto e video per immortalarvi il giorno della recita dell’asilo, del primo bagno al mare senza braccioli, della prima volta in un campo sportivo e in qualsiasi occasione quotidiana ci sembrasse degna durante i primi dodici anni delle vostre vite.

Come avete potuto vedere, negli ultimissimi anni tutti i genitori, vedi chat di whatsapp, e tutte le istituzioni governate da noi adulti hanno trasformato le proprie iniziative, attività culturali e produttive in un prodotto che transita in qualche modo su internet e per questo, in modo irresponsabile, abbiamo riversato su di voi i nostri dubbi sul tipo di società che avevamo creato. Abbiamo così deciso che tutti potessero utilizzare whatsapp, selfie e social network per riprendere il piatto di pastasciutta o la propria presenza come politico alla sagra della salamella, ma non voi, che dovevate, per il vostro bene, limitarvi nell’utilizzo dello smartphone e dei videogiochi. Dovevate, appunto, perché ora che è arrivata l’emergenza di questo virus, molte opportunità, e anche qualche speranza, derivano proprio dall’utilizzo di internet. Siete stati voi, nelle primissime fasi di chiusura delle scuole, con responsabilità e senso etico a chiamare molti docenti e spiegare loro come fare. In alcuni casi avete trasformato chat di battaglie in rete, in chat di classe amministrate dall’insegnante di turno, in attesa che le scuole e le organizzazioni adulte si attrezzassero.

Ora, quando abbiamo visto alcuni di voi, prima dell’ordinanza più restrittiva di sabato 8 marzo, cercare conforto in relazioni all’aperto, abbiamo iniziato a formulare ipotesi sulla vostra irresponsabilità. Prima a casa eravate irresponsabili utilizzatori di internet, ora, improvvisamente, irresponsabili untori trasgressivi dell’apericena, incuranti della salute dei vostri nonni. Invece di divertirvi in giro per Milano potevate almeno assalire i supermarket oppure scapicollarvi verso una stazione ferroviaria per prendere un treno che vi portasse nel vostro luogo di origine o a risiedere nella vostra seconda casa al mare o in montagna. Per quanto abbiamo fatto fino ad ora per voi, non possiamo chiedervi scusa perché eravamo animati davvero da buone intenzioni, anche se ora abbiamo capito quante contraddizioni della società che abbiamo creato abbiamo riversato su di voi. Ma per questa faccenda dei nonni, desideriamo davvero scusarci.

Forse troppi di noi non vi conoscono e parlano alle generazioni di giovani sulla base della propria esperienza individuale, ma chi vi incontra da decenni sa quanto siate legati ai nonni. Molti di voi adorano i nonni, hanno deciso o, hanno in programma, di tatuarsi sulla pelle, per sempre, la data di nascita o della morte di chi vi ha cresciuto, mentre vostra madre e vostro padre lavoravano. Un tributo affettivo che renda indelebile il ricordo di chi vi ha accolto all’uscita dell’asilo e vi ha accompagnato, prendendovi per mano, in molte delle vostre esperienze quotidiane fino all’adolescenza, fatte di lacrime, sorrisi, carezze, sonnellini in braccio. La morte del nonno o della nonna è per molti di voi una enorme sofferenza, un dolore che cambia la vita e del quale sentite l’esigenza di parlare nelle sedute con gli psicoterapeuti, oggi, molto più che in passato. Abbiamo rischiato irresponsabilmente di amplificare lo scontro generazionale, invece di appianarlo, peraltro non riconoscendo che se c’era qualcuno che avrebbe avuto qualche motivo fondato per arrabbiarsi un poco rispetto a quello che sta avvenendo siete proprio voi adolescenti. Ora, però, abbiamo capito, abbiamo deciso di responsabilizzarci. Ora che le direttive sono più chiare e che Milano è sempre più deserta, vi chiediamo di aiutarci responsabilmente a gestire questo momento di enorme difficoltà e, una volta superato, di aiutarci a costruire e consegnarvi un futuro migliore. Aiutateci a capire cosa vi serve davvero, dateci consigli su come migliorare la scuola e su come costruire una società meno individualista e meno dipendente da internet. Una società dove la delusione e la sconfitta possano essere accettate come parte integrante del processo di crescita umana e affettiva, non negate con colpi di scena e azioni eclatanti che ti trasformino da ultimo arrivato al Festival di Sanremo a protagonista assoluto, il giorno dopo, dell’universo massmediatico. E chi era primo in classifica, premiato dalle giurie? Ma chi se ne frega del merito, quel che conta è l’audience, la popolarità! Da questo momento, responsabilmente vi promettiamo di prestare molta più attenzione ai modelli di identificazione che quotidianamente come adulti vi proporremo. Insieme possiamo farcela a consegnarvi un futuro ambientale e relazionale migliore di quello presente. È possibile, anzi probabile, che voi siate in grado di gestire il pianeta e l’umanità in modo più responsabile e autorevole di quanto siamo riusciti a fare noi.

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#IORESTOACASA

SUGGERIMENTI PER GESTIRE LO STRESS LEGATO ALL’ISOLAMENTO E SALVAGUARDARE IL BENESSERE DURANTE L’EMERGENZA SANITARIA COVID-19

Ecco alcuni consigli per gestire i pensieri e le emozioni legate all’isolamento (tratto dal documento del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi).

Gestire lo stress e sviluppare resilienza: per sviluppare resilienza occorre assumere un atteggiamento costruttivo, imparare ad organizzarsi restando sensibili ed aperti alle opportunità. Un atteggiamento resiliente permette di gestire meglio lo stress.

Riscoprire le proprie risorse: impariamo a rilassarci, ad annoiarci e soprattutto a riorganizzare il nostro quotidiano.

Ridare dignità ad ogni aspetto della giornata: stiamo fronteggiando una routine giornaliera completamente diversa e rallentata rispetto a quella solita; diamo ad ogni attività il giusto tempo e dignitià!

Gestire le emozioni negative: riconosciamo i vissuti emotivi per quello che sono, dando loro un nome. Applichiamo poi delle semplici tecniche di rilassamento (es. concentriamoci per 5-10 minuti su un respiro lento e regolare).

Aprire la mente all’altro…vicino: condividere le emozioni negative, amplificate in questo momento dalle limitazioni della libertà personale, ci permette di diventare maggiormente consapevoli e di prendere la giusta distanza.

Applicare il minimalismo digitale: i continui bombardamenti di informazioni dei social possono aiutarci a riflettere sul senso e sul valore che attribuiamo al mondo digitale. Qual è il migliore uso che possiamo farne per arricchire la nostra vita?

Lavorare da casa, come riorganizzare le proprie abitudini quotidiane: è importante per chi lavora attraverso smart working riorganizzare la propria giornata con limiti di tempo lavorativo e routine.

Non dimenticare l’attività fisica: l’attivazione fisica comporta benefici anche a livello psicologico. Anche in questa situazione cerchiamo di dedicare mezz’ora ogni giorno a qualche esercizio di stretching e corpo libero.

Socializza, adesso hai tempo per farlo: i social ci permettono di dedicare tempo alle amicizie e alle relazioni. L’aggregazione permette di distrarci allontanandoci dalla routine quotidiana e da qualche pensiero negativo!

Ascoltare i bambini…: spieghiamo ai bambini, in modo chiaro e sincero, ciò che sta accadendo per aiutarli a dare un senso a questa nuova realtà. Possiamo anche aiutarli ascoltandoli, stimolandoli ad accedere a fonti d’informazione ufficiali, ad utilizzare questo tempo per continuare i loro studi, anche se online, e approfittarne per lasciare libera la creatività.

…gli adolescenti…: puntiamo sulla responsabilità degli adolescenti! Diamo loro dei compiti in casa adatti alle loro capacità e ai loro talenti all’interno di un programma familiare condiviso, ricordandoci di lasciare anche degli spazi virtuali privati per la loro intimità. Parliamo e condividiamo le fatiche e i dolori, ascoltiamoli di più!

…e gli anziani: sono probabilmente la categoria più a rischio perché molti di loro si trovano ancor più soli e isolati di quanto avviene normalmente. È importante contrastare l’isolamento contattandoli per rallegrare il loro umore, aiutarli a trascorrere le giornate e a non “lasciarsi andare”. Sapere che le persone care non li hanno dimenticati aiuta a non perdere la speranza e la positività.

Un occhio di riguardo alla coppia: prendiamoci i nostri spazi e, allo stesso tempo, rispettiamo gli spazi dell’altro. La convivenza forzata può creare disagi, incomprensioni, discussioni; risolvere subito il problema è la giusta direzione per mantenere un clima sereno
in casa. Inoltre, avere un obiettivo condiviso può aiutare a sopportarsi e supportarsi di più.

Non dimenticare il tempo per il riposo: oltre all’attività fisica e a una corretta alimentazione, un fattore importante per il nostro benessere è il riposo. Concediamoci almeno un’ora per staccare e decomprimere a fine giornata in preparazione ad un sonno ristoratore.

Provare ad imparare nuove abitudini: è il momento di fare cose nuove e dedicarci a piccole attività che abbiamo dimenticato o procrastinato, ad esempio trascrivere i sogni appena
svegli!

Non vivere solo di coronavirus!: nonostante la realtà intorno a noi ce lo ricordi sempre, cerchiamo di spostare l’attenzione anche su altro per combattere il rimuginio.

Riflettere sulla gestione della paura…: la paura è un’emozione naturale che evolutivamente ci ha consentito di sopravvivere. Tuttavia in questi giorni, la paura spesso si trasforma in ansia, una spiacevole sensazione che anticipa e amplifica le conseguenze di alcuni pericoli che a mente lucida giudicheremmo innocui. Avere la “giusta” paura non solo è normale, ma ci protegge dal pericolo di essere contagiati e contagiare, spingendoci ad attuare tutte le misure preventive richieste dal Governo.

…ma anche smettere di pensare ad essa: è cruciale ritagliarsi momenti durante i quali non pensare all’emergenza, parlare e fare altro. Questo consente di mantenerci il più vicino possibile alla quotidianità e, soprattutto, di rivivere emozioni positive che permettono di contrastare gli effetti negativi dell’ansia e promuovere un approccio più proattivo e intraprendente.

Sforzarsi di ritrovare qualche aspetto positivo: sfruttiamo il tempo a disposizione per fare tutto ciò che abbiamo sempre rimandato! Re-impariamo ad organizzare la nostra giornata, dandole comunque un significato e uno scopo, trasformandola nell’occasione per scoprire
ciò a cui teniamo di più.

Dove posso trovare supporto psicologico?: tante sono le iniziative nate per sostenere la popolazione attraverso i supporti online. Anche noi dello Studio di Psicologia Origame ci siamo per fissare un colloquio e sostenere tutti in questo momento di grande angoscia, confusione e smarrimento. Inoltre, abbiamo deciso di aderire all’iniziativa #facciolamiaparte, mettendo a disposizione videoconsulti gratuiti per i medici e per tutti coloro che operano nel settore sanitario, .

Scrivici via mail all’indirizzo [email protected] oppure via whatsapp al numero 3383958123.

Infine, ricordiamoci di ringraziare chi, in questo momento, non ha la fortuna di poter stare a casa perché malato, perché impegnato a salvare vite o dedito a coltivare, produrre e vendere alimenti e beni di prima necessità per tutti noi!

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