SINDROME DA BURNOUT: QUANDO LAVORARE E’ MOLTO PIU’ CHE STANCANTE

La sindrome da Burnout, termine inglese con cui ci si riferisce all’esaurimento professionale (letteralmente“fuso”), è una condizione sempre più frequente legata ad un insuccesso nel processo di adattamento lavorativo. E’ un disturbo dilagante nel mondo occidentale, sempre più esigente a livello di prestazioni, tecnologizzato, iperveloce, iperattivo e iperconnesso.

Se a inizio 1900 il termine burnout compariva prevalentemente nel mondo dello sport, a partire dagli anni ’80 la psichiatra statunitense  Christina Maslach l’ha allargato alla sfera lavorativa  per evidenziare un disagio che colpisce le professioni in cui prevalgono le relazioni interpersonali e sono spesso legate all’aiuto del prossimo (medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, poliziotti, vigili del fuoco, volontari…). Nel tempo, tra le categorie di lavoratori a rischio, sono state incluse anche quelle in cui si è spesso a contatto con il pubblico (centralinisti, , impiegati, segretari, insegnanti avvocati).

Sintomatologia e manifestazione

È una sindrome multifattoriale caratterizzata da un rapido decadimento delle risorse psicofisiche e da un peggioramento delle prestazioni professionali.

La sintomatologia è varia si presenta a livello fisico e psicologico.

Sintomi fisici:

•          Affaticamento

•          Disturbi gastrointestinali

•          Mal di testa

•          Respiro corto

•          Insonnia

•          Perdita di peso

•          Frequenti influenze

Sintomi psicologici:

•          Ansia

•          Ridotta efficacia professionale

•          Disinteresse per i rapporti interpersonali

•          Disistima

•          Rabbia

•          Sensazione di fallimento

•          Colpa

•          Stanchezza

•          Isolamento

•          Negativismo

Il burnout appare come l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che lavorano nel momento in cui le stesse non siano in grado di reagire e rispondere in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress a cui la mansione svolta espone.

Il processo che porta all’esaurimento sembra strutturarsi in tre fasi:

  1. Fase dello stress: si inizia ad avvertire un primo livello di stress lavorativo che mette in evidenza uno squilibrio tra le richieste provenienti dal contesto lavorativo e le risorse personali disponibili.
  2. Fase dell’esaurimento: di fronte allo stress l’organismo produce una risposta emotiva immediata e transitoria connotata da ansia, irritabilità, fatica e tensione costante.
  3. Fase di difesa: la tensione accumulata nel tempo aumenta e ci si difende con atteggiamenti e comportamenti caratterizzati da cinismo, rigidità e distacco emotivo.

Chi attraversa queste fasi che portano all’esaurimento sperimenta un graduale passaggio da una condizione di “entusiasmo realistico” in cui prevalgono idealismo ed elevate aspettative sul proprio ruolo nel contesto lavorativo, ad una condizione di “stagnazione e demotivazione” in cui prevale la percezione che il proprio investimento psicofisico non sia sufficiente a condurre ai risultati attesi, ad un’intollerabile sensazione di “frustrazione” che, infine, conduce ad una condizione di “apatia”, caratterizzata da un graduale disimpegno emozionale.

Cause

Cosa porta ad una simile condizione di esaurimento psicofisico?

Diverse sono le situazioni lavorative che innescano il processo tensivo che conduce alla sindrome di burnout:

  • Struttura organizzativa: distribuzione dei compiti e delle funzioni all’interno di un’organizzazione
  • Scarsa chiarezza nei ruoli: insufficienza di informazioni in relazione ad una determinata posizione
  • Conflitto di ruoli: esistenza di richieste che il lavoratore ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale
  • Sovraccarico: un eccessivo carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità, che non permettono al lavoratore di portare avanti una buona prestazione lavorativa
  • Mancanza di stimolazione: monotonia della mansione assegnata

Fattori di rischio e fattori protettivi

Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di sindrome da burnout si possono rintracciare fattori individuali, legati a caratteristiche personologiche, e fattori situazionali, legati a struttura e organizzazione del luogo di lavoro.

  • Fattori individuali:
  • ambizione
  • aggressività
  • iperattività
  • ostilità
  • motivazione
  • aspettative personali
  • Fattori situazionali:
  • mancanza di comunicazione
  • leadership inefficace
  • formazione inadeguata
  • sovraccarico lavorativo
  • imprevedibilità nei compiti
  • relazioni conflittuali tra colleghi
  • retribuzione inadeguata
  • mancanza di feedback positivo

I fattori protettivi, d’altro canto, seppur in presenza di un elevato numero di fattori di rischio, consentono al lavoratore di smorzare l’effetto negativo dei primi segnali di disagio, promuovendo una nuova visione della situazione e una ristrutturazione emotiva.

Fondamentali risultano:

  • Supporto sociale
  • Ascolto attivo
  • Comunicazione efficace
  • Formazione continua

Strategie

Lo stress cronico da lavoro difficilmente si risolve con una semplice pausa o con una vacanza, ma si può combattere prima di arrivare ad un punto di non ritorno. Essenziale è, in primis, riconoscere i segnali di uno stress eccessivo  che arreca insostenibili malesseri psicofisici. Spesso la prima e istintiva risposta messa in atto risulta assentarsi frequentemente dal lavoro o essere distratti e svogliati. Consapevoli che questo approccio difficilmente può portare ad un cambiamento della situazione stressogena, o della propria sensazione di disagio, occorre provare a muovere passi in altre direzioni:

  • porsi degli obiettivi realmente raggiungibili;
  • staccare la spina prendendo per sé tanti piccoli momenti di pausa, anche quando si è impegnati in compiti a cui non ci si può sottrarre;
  • fare una lista di piccole cose da fare, da spuntare man mano che si portano a termine nel corso della giornata;
  • non isolarsi;
  • considerare le altre persone come una risorsa: condividere loro le proprie emozioni è un modo per dare loro una forma e chiarirle anche a se stessi;
  • lavorare, quando è possibile, in modalità smartworking dà la possibilità di svolgere i propri compiti nello spazio in cui ci si sente più a proprio agio e di diminuire la frequenza di esposizione a fonti stressanti.
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Lettera agli adolescenti nei giorni del coronavirus

Vi invitiamo a leggere questo interessante spunto dello psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, che ha sintetizzato nella sua “Lettera agli adolescenti nei giorni del coronavirus” la visione dell’attuale modello educativo che molti adolescenti di oggi hanno ricevuto, facendone delle accurate e puntuali critiche.

Care ragazze, cari ragazzi

in questo difficile momento è molto importante che ognuno di noi si assuma nuove responsabilità, per sé, per gli altri, per tutta la comunità. Proprio per questo abbiamo deciso di scrivere un sermone che parta da noi, che parli di noi, risparmiandovi, almeno in questa occasione, il solito discorsetto infantilizzante. È giusto comunicarvi che, come è evidente, in questi ultimi anni noi adulti non siamo stati in grado di assumerci le responsabilità necessarie a garantire a voi giovani, e probabilmente anche ai vostri figli, un presente stabile e un futuro non troppo fosco. Non lo abbiamo fatto perché eravamo e siamo cattivi, ma perché una grande crisi di valori ci ha portato a privilegiare il profitto, l’individualismo, l’audience, a concentrarci su un’etica affettiva valida solo per la nostra famiglia, per il nostro caro piccolo nucleo. Progressivamente ci siamo disinteressati degli altri, anche dei figli degli altri, se non come soggetti che vi avrebbero invitati alle loro festine di compleanno, a non farvi sentire soli, esclusi. Appena i figli degli altri, i vostri compagni delle primarie, hanno iniziato ad avere comportamenti non rispondenti alle nostre aspettative o mostrato difficoltà, abbiamo subito pensato che vi avrebbero ostacolato nei processi di apprendimento, li abbiamo considerati come dei disturbatori sulla strada della vostra crescita e ci siamo lamentati con le maestre. Lo abbiamo fatto per il vostro bene, convinti di darvi più possibilità, non comprendendo che i bambini con più difficoltà sono una risorsa, aiutano ad avvicinarsi ai dolori e agli inciampi della vita, contribuiscono alla crescita personale e valoriale, non rappresentano qualcuno che ti fa rimanere indietro nel programma di matematica. Abbiamo così contribuito, anche se con tutte le buone intenzioni, a rendervi fragili e a non farvi comprendere l’importanza della solidarietà, in primis per voi stessi, oltre che per gli altri.

Chi se lo poteva permettere, poi, vi ha portato in giro per il mondo e pagato biglietti aereo, spingendovi a viaggiare ma con il “cercapersona”, detto anche cellulare, in tasca e sotto scorta degli adulti. Nessuna esperienza di vera autonomia perché, in realtà, eravamo abitati da paure e paranoie su cosa vi sarebbe accaduto fuori casa, nel mondo pericoloso, e così abbiamo chiuso cortili e giardinetti. A proposito di responsabilità è giusto confidarvi un segreto: l’affissione della scritta “vietato il giuoco del pallone” e la trasformazione dei cortili in box per auto non è stata una vostra iniziativa, né dell’industria bellica dei videogiochi e neanche dell’inventore di “Fortnite”. Sono stati provvedimenti di responsabilità adulta, per proteggervi dai malintenzionati e per non vedervi tornare a casa con sbucciature sulle ginocchia, per noi diventate fonte di sofferenza intollerabile. Per questo vi accompagniamo tutte le mattine a scuola e vi veniamo a prendere all’uscita, per proteggervi e farvi capire che degli altri c’è poco da fidarsi.

Volevamo aiutarvi a far parte di un mondo che nel frattempo, senza neanche accorgercene, stavamo distruggendo a forza di disboscamenti, plastificazione e inquinamento atmosferico. Sempre sotto la nostra responsabilità vi abbiamo anche più volte detto che non avreste trovato lavoro, che sareste diventati più poveri di noi, e non era una minaccia, ma ci siamo proprio impegnati a fare in modo che diventasse realtà. Infatti, oggi, gli scienziati dell’economia confermano che ce l’abbiamo fatta. Intanto, voi preadolescenti e adolescenti, così propensi a darci fiducia, ad ascoltare i nostri consigli e a prendervi carico delle nostre preoccupazioni, avete sostituito i pomeriggi che tutti noi trascorrevamo per strada, in piazze virtuali e in battaglie molto meno violente nelle conseguenze reali, perché virtuali appunto, di quelle che combattevamo noi con fionde, cerbottane, miccette, pistole spara gommini, pallonate violente in faccia agli amici. Epoche passate, in cui le ferite del corpo dei figli erano meglio tollerate, al punto da essere all’ordine del giorno. A questo punto però, sempre in nome della nostra responsabilità adulta, vi abbiamo detto che questo vostro comportamento era da considerarsi esagerato, sconsiderato. Così abbiamo deciso di comunicarvi che il vostro uso di internet, smartphone, videogiochi e social network era smodato, anzi era diventato una dipendenza. Il vostro utilizzo, non il nostro, che avevamo iniziato a fotografarvi ancora prima della vostra nascita il giorno dell’ecografia morfologica, per poi proseguire con centinaia di foto e video per immortalarvi il giorno della recita dell’asilo, del primo bagno al mare senza braccioli, della prima volta in un campo sportivo e in qualsiasi occasione quotidiana ci sembrasse degna durante i primi dodici anni delle vostre vite.

Come avete potuto vedere, negli ultimissimi anni tutti i genitori, vedi chat di whatsapp, e tutte le istituzioni governate da noi adulti hanno trasformato le proprie iniziative, attività culturali e produttive in un prodotto che transita in qualche modo su internet e per questo, in modo irresponsabile, abbiamo riversato su di voi i nostri dubbi sul tipo di società che avevamo creato. Abbiamo così deciso che tutti potessero utilizzare whatsapp, selfie e social network per riprendere il piatto di pastasciutta o la propria presenza come politico alla sagra della salamella, ma non voi, che dovevate, per il vostro bene, limitarvi nell’utilizzo dello smartphone e dei videogiochi. Dovevate, appunto, perché ora che è arrivata l’emergenza di questo virus, molte opportunità, e anche qualche speranza, derivano proprio dall’utilizzo di internet. Siete stati voi, nelle primissime fasi di chiusura delle scuole, con responsabilità e senso etico a chiamare molti docenti e spiegare loro come fare. In alcuni casi avete trasformato chat di battaglie in rete, in chat di classe amministrate dall’insegnante di turno, in attesa che le scuole e le organizzazioni adulte si attrezzassero.

Ora, quando abbiamo visto alcuni di voi, prima dell’ordinanza più restrittiva di sabato 8 marzo, cercare conforto in relazioni all’aperto, abbiamo iniziato a formulare ipotesi sulla vostra irresponsabilità. Prima a casa eravate irresponsabili utilizzatori di internet, ora, improvvisamente, irresponsabili untori trasgressivi dell’apericena, incuranti della salute dei vostri nonni. Invece di divertirvi in giro per Milano potevate almeno assalire i supermarket oppure scapicollarvi verso una stazione ferroviaria per prendere un treno che vi portasse nel vostro luogo di origine o a risiedere nella vostra seconda casa al mare o in montagna. Per quanto abbiamo fatto fino ad ora per voi, non possiamo chiedervi scusa perché eravamo animati davvero da buone intenzioni, anche se ora abbiamo capito quante contraddizioni della società che abbiamo creato abbiamo riversato su di voi. Ma per questa faccenda dei nonni, desideriamo davvero scusarci.

Forse troppi di noi non vi conoscono e parlano alle generazioni di giovani sulla base della propria esperienza individuale, ma chi vi incontra da decenni sa quanto siate legati ai nonni. Molti di voi adorano i nonni, hanno deciso o, hanno in programma, di tatuarsi sulla pelle, per sempre, la data di nascita o della morte di chi vi ha cresciuto, mentre vostra madre e vostro padre lavoravano. Un tributo affettivo che renda indelebile il ricordo di chi vi ha accolto all’uscita dell’asilo e vi ha accompagnato, prendendovi per mano, in molte delle vostre esperienze quotidiane fino all’adolescenza, fatte di lacrime, sorrisi, carezze, sonnellini in braccio. La morte del nonno o della nonna è per molti di voi una enorme sofferenza, un dolore che cambia la vita e del quale sentite l’esigenza di parlare nelle sedute con gli psicoterapeuti, oggi, molto più che in passato. Abbiamo rischiato irresponsabilmente di amplificare lo scontro generazionale, invece di appianarlo, peraltro non riconoscendo che se c’era qualcuno che avrebbe avuto qualche motivo fondato per arrabbiarsi un poco rispetto a quello che sta avvenendo siete proprio voi adolescenti. Ora, però, abbiamo capito, abbiamo deciso di responsabilizzarci. Ora che le direttive sono più chiare e che Milano è sempre più deserta, vi chiediamo di aiutarci responsabilmente a gestire questo momento di enorme difficoltà e, una volta superato, di aiutarci a costruire e consegnarvi un futuro migliore. Aiutateci a capire cosa vi serve davvero, dateci consigli su come migliorare la scuola e su come costruire una società meno individualista e meno dipendente da internet. Una società dove la delusione e la sconfitta possano essere accettate come parte integrante del processo di crescita umana e affettiva, non negate con colpi di scena e azioni eclatanti che ti trasformino da ultimo arrivato al Festival di Sanremo a protagonista assoluto, il giorno dopo, dell’universo massmediatico. E chi era primo in classifica, premiato dalle giurie? Ma chi se ne frega del merito, quel che conta è l’audience, la popolarità! Da questo momento, responsabilmente vi promettiamo di prestare molta più attenzione ai modelli di identificazione che quotidianamente come adulti vi proporremo. Insieme possiamo farcela a consegnarvi un futuro ambientale e relazionale migliore di quello presente. È possibile, anzi probabile, che voi siate in grado di gestire il pianeta e l’umanità in modo più responsabile e autorevole di quanto siamo riusciti a fare noi.

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#IORESTOACASA

SUGGERIMENTI PER GESTIRE LO STRESS LEGATO ALL’ISOLAMENTO E SALVAGUARDARE IL BENESSERE DURANTE L’EMERGENZA SANITARIA COVID-19

Ecco alcuni consigli per gestire i pensieri e le emozioni legate all’isolamento (tratto dal documento del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi).

Gestire lo stress e sviluppare resilienza: per sviluppare resilienza occorre assumere un atteggiamento costruttivo, imparare ad organizzarsi restando sensibili ed aperti alle opportunità. Un atteggiamento resiliente permette di gestire meglio lo stress.

Riscoprire le proprie risorse: impariamo a rilassarci, ad annoiarci e soprattutto a riorganizzare il nostro quotidiano.

Ridare dignità ad ogni aspetto della giornata: stiamo fronteggiando una routine giornaliera completamente diversa e rallentata rispetto a quella solita; diamo ad ogni attività il giusto tempo e dignitià!

Gestire le emozioni negative: riconosciamo i vissuti emotivi per quello che sono, dando loro un nome. Applichiamo poi delle semplici tecniche di rilassamento (es. concentriamoci per 5-10 minuti su un respiro lento e regolare).

Aprire la mente all’altro…vicino: condividere le emozioni negative, amplificate in questo momento dalle limitazioni della libertà personale, ci permette di diventare maggiormente consapevoli e di prendere la giusta distanza.

Applicare il minimalismo digitale: i continui bombardamenti di informazioni dei social possono aiutarci a riflettere sul senso e sul valore che attribuiamo al mondo digitale. Qual è il migliore uso che possiamo farne per arricchire la nostra vita?

Lavorare da casa, come riorganizzare le proprie abitudini quotidiane: è importante per chi lavora attraverso smart working riorganizzare la propria giornata con limiti di tempo lavorativo e routine.

Non dimenticare l’attività fisica: l’attivazione fisica comporta benefici anche a livello psicologico. Anche in questa situazione cerchiamo di dedicare mezz’ora ogni giorno a qualche esercizio di stretching e corpo libero.

Socializza, adesso hai tempo per farlo: i social ci permettono di dedicare tempo alle amicizie e alle relazioni. L’aggregazione permette di distrarci allontanandoci dalla routine quotidiana e da qualche pensiero negativo!

Ascoltare i bambini…: spieghiamo ai bambini, in modo chiaro e sincero, ciò che sta accadendo per aiutarli a dare un senso a questa nuova realtà. Possiamo anche aiutarli ascoltandoli, stimolandoli ad accedere a fonti d’informazione ufficiali, ad utilizzare questo tempo per continuare i loro studi, anche se online, e approfittarne per lasciare libera la creatività.

…gli adolescenti…: puntiamo sulla responsabilità degli adolescenti! Diamo loro dei compiti in casa adatti alle loro capacità e ai loro talenti all’interno di un programma familiare condiviso, ricordandoci di lasciare anche degli spazi virtuali privati per la loro intimità. Parliamo e condividiamo le fatiche e i dolori, ascoltiamoli di più!

…e gli anziani: sono probabilmente la categoria più a rischio perché molti di loro si trovano ancor più soli e isolati di quanto avviene normalmente. È importante contrastare l’isolamento contattandoli per rallegrare il loro umore, aiutarli a trascorrere le giornate e a non “lasciarsi andare”. Sapere che le persone care non li hanno dimenticati aiuta a non perdere la speranza e la positività.

Un occhio di riguardo alla coppia: prendiamoci i nostri spazi e, allo stesso tempo, rispettiamo gli spazi dell’altro. La convivenza forzata può creare disagi, incomprensioni, discussioni; risolvere subito il problema è la giusta direzione per mantenere un clima sereno
in casa. Inoltre, avere un obiettivo condiviso può aiutare a sopportarsi e supportarsi di più.

Non dimenticare il tempo per il riposo: oltre all’attività fisica e a una corretta alimentazione, un fattore importante per il nostro benessere è il riposo. Concediamoci almeno un’ora per staccare e decomprimere a fine giornata in preparazione ad un sonno ristoratore.

Provare ad imparare nuove abitudini: è il momento di fare cose nuove e dedicarci a piccole attività che abbiamo dimenticato o procrastinato, ad esempio trascrivere i sogni appena
svegli!

Non vivere solo di coronavirus!: nonostante la realtà intorno a noi ce lo ricordi sempre, cerchiamo di spostare l’attenzione anche su altro per combattere il rimuginio.

Riflettere sulla gestione della paura…: la paura è un’emozione naturale che evolutivamente ci ha consentito di sopravvivere. Tuttavia in questi giorni, la paura spesso si trasforma in ansia, una spiacevole sensazione che anticipa e amplifica le conseguenze di alcuni pericoli che a mente lucida giudicheremmo innocui. Avere la “giusta” paura non solo è normale, ma ci protegge dal pericolo di essere contagiati e contagiare, spingendoci ad attuare tutte le misure preventive richieste dal Governo.

…ma anche smettere di pensare ad essa: è cruciale ritagliarsi momenti durante i quali non pensare all’emergenza, parlare e fare altro. Questo consente di mantenerci il più vicino possibile alla quotidianità e, soprattutto, di rivivere emozioni positive che permettono di contrastare gli effetti negativi dell’ansia e promuovere un approccio più proattivo e intraprendente.

Sforzarsi di ritrovare qualche aspetto positivo: sfruttiamo il tempo a disposizione per fare tutto ciò che abbiamo sempre rimandato! Re-impariamo ad organizzare la nostra giornata, dandole comunque un significato e uno scopo, trasformandola nell’occasione per scoprire
ciò a cui teniamo di più.

Dove posso trovare supporto psicologico?: tante sono le iniziative nate per sostenere la popolazione attraverso i supporti online. Anche noi dello Studio di Psicologia Origame ci siamo per fissare un colloquio e sostenere tutti in questo momento di grande angoscia, confusione e smarrimento. Inoltre, abbiamo deciso di aderire all’iniziativa #facciolamiaparte, mettendo a disposizione videoconsulti gratuiti per i medici e per tutti coloro che operano nel settore sanitario, .

Scrivici via mail all’indirizzo [email protected] oppure via whatsapp al numero 3383958123.

Infine, ricordiamoci di ringraziare chi, in questo momento, non ha la fortuna di poter stare a casa perché malato, perché impegnato a salvare vite o dedito a coltivare, produrre e vendere alimenti e beni di prima necessità per tutti noi!

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I terrori notturni

“Mio figlio spesso urla nel sonno e non so che cosa fare”, “Stanotte sono stata svegliata dalle urla terrorizzate di mia figlia e mi sono molto spaventata”…tanti genitori hanno provato questa esperienza e si sono chiesti quale fosse la ragione e se fosse il caso di intervenire e in quale modo.

Vediamo di seguito di che cosa si tratta, quali possono essere le cause e che cosa fare quando capita.

Il pavor nocturnus

Il pavor nocturnus, comunemente chiamato “terrore notturno” o “terrore del sonno”, è una perturbazione del sonno non patologica che rientra nella categoria delle parasonnie. Si manifesta nei bambini a partire dai 18 mesi di vita e raggiunge il picco massimo tra i 2 e 4 anni. Solitamente scompare con l’ingresso alla scuola primaria ma in rari casi può perdurare anche fino alla tarda adolescenza.

I terrori notturni si verificano poche ore dopo l’addormentamento. Il bambino all’improvviso inizia a gridare, dire frasi senza senso, piangere e può mettersi bruscamente a sedere oppure scendere dal letto. I muscoli sono tesi, le pupille dilatate, la sudorazione intensa e il respiro corto. Per coloro che assistono a queste “crisi” è davvero impressionante perché il bambino con lo sguardo perso nel vuoto, non risulta raggiungibile né con le parole né con gesti di affetto: il piccolo non riconosce i genitori e non risponde ai loro tentativi di consolazione. La “crisi” solitamente dura pochi minuti e una volta finita, il bambino torna a dormire d’un sonno profondo che, diversamente da quanto può sembrare, non si è mai interrotto. Recenti studi hanno, infatti, dimostrato che durante i terrori notturni le aree cerebrali legate al controllo del movimento si attivano, mentre quelle coinvolte nei processi di memoria o di coscienza rimangono inattive.

Pavor nocturnus vs incubo

Vi sono due differenze strettamente collegate tra loro tra i terrori notturni e gli incubi. Nel primo caso poiché la crisi si presenta nella prima parte del sonno, durante il sonno profondo (fasi 3 e 4 non-ReM), il soggetto non è cosciente e consapevole di ciò che sta vivendo. Per tale motivo il bambino al suo risveglio non ha alcun ricordo di quanto accaduto e presenta uno stato d’animo opposto a quello espresso durante la “crisi”.

Al contrario, gli incubi si verificano durante le ultime ore del sonno (fase REM) quando il soggetto è più vicino alla veglia. I brutti sogni di frequente causano risvegli che interferiscono con la qualità del sonno e del riposo. Spesso, inoltre, condizionano anche l’umore della giornata.

Le cause

Alla base del pavor nocturnus vi è la predisposizione genetica: è stato riscontrato che la possibilità di presentare i terrori notturni è dieci volte maggiore nei bambini i cui genitori hanno sperimentato nella propria vita queste o altre parasonnie (sonnambulismo, risvegli confusionali) rispetto a chi non ha familiarità.

Oltre alla predisposizione genetica, vi sono alcuni fattori precipitanti che facilitano la loro manifestazione:

  • apnee notturne
  • asma notturna
  • ipertrofia tonsillare o adenoidea
  • reflusso gastroesofageo
  • febbre
  • deprivazione da sonno
  • ritmo sonno-veglia irregolare
  • alti livelli di attivazione causati da stress, agitazione e dall’assunzione di cibi e bevande ricchi di caffeina (es. the, bibite).

Chi soffre di pavor nocturnus ha un sonno particolarmente profondo e non riuscendo a svegliarsi di fronte a queste condizioni particolari ha un risveglio parziale e inconsapevole (microrisveglio dalla fase non-ReM).

Pertanto i soggetti che vivono una o più di queste condizioni e hanno familiarità con le parasonnie manifesteranno con maggiore frequenza terrori notturni durante il sonno.

Nonostante lo spavento e il senso d’impotenza provato di fronte a queste crisi, è importante sottolineare che il pavor nocturnus non ha alcun significato patologico (neurologico, psicologico, relazionale) e non porta ad alcune conseguenze patologiche. Il pavor nocturnus non deve essere considerato preludio di altre malattie.

Che cosa fare

Il pavor nocturnus è un fenomeno innocuo che lascia amnesia al risveglio. Al contrario, se il bambino viene svegliato può presentare alcuni ricordi strettamente legati alla fase del risveglio e non all’esperienza della “crisi”. Pertanto proprio come con i sonnambuli, appare più opportuno non intervenire con l’intento di svegliare il bambino durante un terrore notturno. Un risveglio improvviso e forzato con i genitori che lo circondano spaventati chiedendogli cosa è successo e come sta, potrebbe infatti essere un’esperienza traumatica. Può, invece, essere utile parlargli con toni bassi e una voce rassicurante e prevenire l’eventualità che possa farsi male scendendo da letto creando uno spazio sicuro e protetto.

Genitori, nonni e educatori dovrebbero ricordare che

per quanto la crisi di pavor nocturnus possa essere

spaventosa, è un fenomeno innocuo per il bambino.

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I primi capricci: cosa c’è dietro?

Anche se possono assumere forme diverse, il minimo comun denominatore dei capricci è l’insistenza che alla fine può sfiancare l’adulto.  C’è chi dà luogo a sceneggiate più o meno plateali e interminabili di fronte al rifiuto di mamma o papà di comprare ciò che vuole al supermercato o all’edicola, chi non tollera sentirsi dire “basta: spegni la tv o spegni il videogioco” e chi inizia a correre per tutta la casa anziché andare in bagno a lavarsi i denti prima di andare a nanna.

Che cosa sono i capricci?

Se, da un lato, i capricci sono una componente dello sviluppo e quindi non bisogna farne eccessivamente un dramma, dall’altro è importante chiedersi a cosa siano dovute alcune reazioni, per poterle prevenire.

I capricci sono fenomeni relazionali: non si manifestano mai quando il bambino è da solo, è sempre necessaria la presenza di almeno un adulto. Nascono e si svolgono all’interno della relazione e mirano a modificare qualcosa di importante all’interno di essa.

Tendono a essere più frequenti verso i due-tre anni (per poi ricomparire sottoforma di piccole cattiverie nella prima adolescenza), in quanto questo è il primo momento dello sviluppo in cui si avverte l’esigenza di una maggiore indipendenza e il bisogno di affermarla. È un modo di verificare le regole e la pazienza degli adulti.

Il capriccio si struttura e si svolge sempre su due piani:

  • il piano esplicito e visibile da tutti, che solitamente coinvolge cose abbastanza sciocche e irrilevanti sia per il bambino che per l’adulto
  • il piano implicito, di cui solitamente si può dire che sia maggiormente consapevole il bambino.

Come riconoscerli?

Durante l’escalation di un capriccio, dal punto di vista del bambino, possono entrare in gioco diversi aspetti che ne sono la causa:

1) Il bambino ha bisogno di rassicurazione

Potrebbe succedere che un bambino diventi molto capriccioso in un periodo in cui non si sente sicuro che i genitori gli vogliano bene.  

Ad esempio se effettivamente uno o entrambi i genitori sono distratti da preoccupazioni e problemi “da grandi”, che li tengono lontani mentalmente e fisicamente dal bambino, oppure quando è in arrivo o è appena arrivato un fratellino o una sorellina. Il bambino può interpretare questa momentanea lontananza come una sorta di punizione nei suoi confronti per aver deluso i genitori.

2) Il bambino ha bisogno di sapere quanto potere ha

Può mostrarsi angosciato sia quando ha troppo potere, sia quando ne ha troppo poco. Ha bisogno di verificare quanto potere ha, da un lato per non sentirsi in balia soltanto di sé stesso (cioè non affidato a nessuno) e dall’altro lato per non sentirsi schiacciato dalla prepotenza degli altri, compresi i genitori.

3) Il bambino segnala che chi si sta prendendo cura di lui non sta gestendo adeguatamente il suo potere

I bambini hanno bisogno di coerenza in modo da potersi orientare meglio e trovare così sicurezza.  È un po’ come se, attraverso il capriccio, il bambino provocasse l’adulto per sentirsi importante per lui, per catturarne l’attenzione.

I bambini hanno bisogno che gli si dica di “No”, con fermezza e con chiarezza per soddisfare l’esigenza di percepire attorno a sé un mondo in cui ci si possano muovere con una sufficiente sicurezza.  La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell’amorevolezza, e i bambini lo sentono.

4) Il bambino ha bisogno di sapere se la persona cui è affidato è sufficientemente stabile e forte

Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l’adulto cui è affidato è una specie di marionetta in suo potere. L’insicurezza devastante che ne deriva talvolta viene affrontata dal bambino assumendo lui stesso la parte di quello “forte”, che impone il proprio volere attraverso, ad esempio, il capriccio.

Davanti ad un adulto che non è sufficientemente stabile e forte, sarà più facile che il bambino assuma atteggiamenti dispotici che rischiano addirittura di intimidire l’adulto insicuro, soprattutto se si sente per qualunque motivo colpevolizzato verso il bambino.

5) Il bambino ha bisogno di sapere che è affidato all’adulto, ma che ha anche un certo grado di autonomia da esso

Quando un bambino sente preclusa ogni possibilità di riconoscimento delle sue proprie competenze e del proprio realistico grado di autonomia, è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l’adulto con dei capricci.

Come affrontarli?

Senza aver chiari questi bisogni che, in diversa misura, possono essere alla base dei capricci, si rischia di fermarsi al piano “superficiale”, e di rimanere incastrati in un circolo di rabbia e frustrazione reciproca che non solo coinvolge il momento circoscritto del capriccio, ma può mantenersi anche successivamente.

Per evitare ciò è necessario andare oltre il piano più strettamente pretestuoso del capriccio (ad esempio, il bambino che si butta per terra disperato al momento dell’ingresso a scuola o quando gli viene negato il gusto preferito del gelato), e capire in quale bisogno si sente minacciato. Oltre a ciò risulta fondamentale fissare regole chiare e precise e limiti ben definiti.

Ovviamente esistono delle differenze legate al temperamento e ci sono dei bambini particolarmente testardi e più propensi al capriccio. É spesso vero, però, che questi bambini hanno genitori con una personalità simile, per cui in alcune famiglie gli “scontri” tra volontà “forti” possono essere più frequenti che in altre. Così come, d’altro canto, ci sono genitori troppo lassisti, che non insegnano chiaramente ai figli a discriminare tra ciò che è accettabile e ciò che invece non lo è. La virtù, come spesso accade, sta nel mezzo: i genitori dovrebbero cercare di essere né troppo intransigenti né troppo permissivi.

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